Lo strazio e la speranza
mercoledì 25 ottobre 2017

L’immagine ti passa davanti agli occhi mentre scorri velocemente, al mattino, il sito web di un quotidiano. Non capisci esattamente cosa hai visto. Torni indietro, si sovrappone la pubblicità di un orologio da migliaia di euro. La chiudi, riecco l’immagine di prima.

È una neonata in una culla, molto piccola, avvolta in un pannolino che le sta troppo grande. Ha le membra ischeletrite, il faccino scavato, le ossa sporgenti sotto la pelle livida e prosciugata dalla disidratazione. Si chiama Sahar, e ha un mese. Nell’istante in cui è stata scattata quella foto diffusa dalla agenzia Afp, è nelle sue ultime ore di agonia. Sahar, siriana, nata nel villaggio di Hamurya, nella zona di Ghouta, è morta per fame. L’area, sprofondata nella guerra civile, è attualmente sotto assedio da parte delle milizie di Assad. Nonostante gli sforzi delle Ong e degli enti umanitari, i civili rimangono per settimane senza rifornimenti. E così la madre di quella bambina l’ha partorita e non ha avuto le energie per allattarla a sufficienza. Né mezzi per comprare latte in polvere. Forse gli aiuti non erano lontani, su qualche carovana di camion bloccata dai mitra dei soldati. Ma non sono arrivati in tempo. Non per Sahar.

In quella foto, che non vi mostriamo perché colpisce lo stomaco come un pugno, perché lascia paralizzati dall’angoscia, la bimba appena nata e già moribonda ha, fra le coperte che la avvolgono, le proporzioni di una misera neonata, ma il fragile corpo non nutrito né irrigato dal latte mostra la pelle avvizzita di un vecchio. È piccolissima e insieme come terribilmente vecchia Sahar, vecchia di tutto il dolore e la fame e lo strazio del mondo. E il viso, il minuto viso denutrito ha gli occhi socchiusi e lo sguardo perso nel lontano, nel nulla. La bocca è spalancata in un lamento muto. Le manine cercano ancora di contrarsi, come a stringere qualcosa, forse la morbidezza del seno che la ha così presto abbandonata.

Chiudi quella fotografia sul pc con fretta, avvertendo che ogni istante di contemplazione ti fa male. Ma poi nell’arco della giornata l’immagine torna nella memoria – mentre fai le cose di ogni giorno – scarnificante come una lama. Quella bambina è morta di guerra e di assedio, e poi di fame. Ma sappiamo che oltre 3 milioni di bambini nel mondo muoiono di fame, ogni anno. Dunque, muoiono come Sahar, le braccia e le gambe ridotte all’osso, la voce esausta incapace di piangere. Noi lo sappiamo, ma non li vediamo. Il vederne una ci è insopportabile. È insopportabile guardare una creatura appena venuta al mondo, del tutto indifesa, soffrire a quel modo nell’abbandono. È quell’intollerabile dolore dei bambini che fa dire a Ivan, nei “Fratelli Karamazov”: «Hanno fissato un prezzo troppo alto per l’armonia; non possiamo permetterci di pagare tanto per accedervi. Pertanto mi affretto a restituire il biglietto d’entrata (...) Non che non accetti Dio, Alëša, gli sto solo restituendo, con la massima deferenza, il suo biglietto». Restituire il biglietto, può sorgere questo pensiero: chiamarsi fuori, o, almeno, non dover vedere.

C’è quello stesso intollerabile dolore dei bambini, nella foto dalla Siria, che ha fatto dire mesi fa al Papa: «Non ci sono spiegazioni: è un mistero...». E ha parlato della Madonna quando le hanno dato il corpo morto del suo figlio, ferito, insanguinato... La Madonna lo ha accarezzato. E anche la Madonna, ha detto Francesco, non capiva.

Tutto il male del mondo, raggrumato come in un nodo di carne in quel corpicino di bambina. Tutto il male degli uomini, aggrovigliato, contorto: odio, avidità e violenza strettamente legati. C’è tutta la nostra impotenza, eppure sappiamo che in qualche oscuro modo anche il male che compiamo noi collabora a gonfiare questa mole di sofferenza.

Riguardi ancora quella immagine, e, pure nella piccolezza delle membra, gli occhi perduti nel cielo, la bocca che grida senza voce ti ricordano un Cristo crocifisso. Quella bambina, un’icona di lui.

Per Sahar, anche, Cristo è morto sulla croce, perché nemmeno la sua morte di creatura di un mese fosse per sempre; e portava su di sé, quel giorno, Cristo, anche la sofferenza di Sahar, perché non fosse perduta nel nulla. Per tutti è morto, e anche per quella bambina. Nel mistero immenso di amore che anche noi cristiani, sani, sazi, abituati, a volte dimentichiamo, ma che sostiene e salva ogni ostinata speranza di pace e di bene.

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