Lo stop all'utero in affitto esame di maturità politica
mercoledì 15 gennaio 2020

La petizione con la quale un nutrito e variegato gruppo di donne sta chiedendo ai partiti italiani di governo di impegnarsi per conseguire con strumenti politici e giuridici efficaci il bando assoluto ed effettivo della 'surrogazione di maternità', a cominciare dal nostro Paese, è una di quelle iniziative che rientrano nella categoria biblica delle 'pietre d’inciampo' o, se vogliamo ricorrere a una metafora scientifica, della 'cartina al tornasole': a prima vista una campagna come mille altre, in realtà un’iniziativa in grado di rivelare i pensieri autentici dei destinatari su più di un tema decisivo.

E con un obiettivo di tale spessore che chi finge di non vederlo può davvero inciampare e cadere malamente. Chiamiamolo pure un piccolo esame di umanità per la nostra classe politica che, pur presa da altri pensieri, farebbe bene a prendersi il tempo che occorre per leggersi il testo della petizione. E capire che cosa c’è in gioco. Potrebbe persino riprendere familiarità con alcuni concetti – come la dignità umana al suo stadio più elementare – che possono tornare utili nel progettare il futuro di una comunità nazionale e di un mondo nel quale non si vuole recitare da comprimari.

È impossibile, infatti, liquidare come una fissazione pro life la richiesta di rendere legalmente impossibile e socialmente riprovevole una pratica aberrante come il noleggio del grembo e della vita di una donna per i nove mesi che occorrono a far crescere e nascere un figlio d’altri, operazione realizzata con regolare contratto di compravendita che cataloga la maternità quale prestazione d’opera dietro compenso a precise condizioni che le parti devono rispettare. Con un figlio d’uomo e di donna come materia della transazione. Se osserviamo bene la scena con tutti i protagonisti – genitori intenzionali, madre surrogata, venditori dell’ovocita e del seme eventualmente necessari, mediatore, avvocato, personale medico che lambicca con la vita umana per miscelare gli ingredienti scelti su un catalogo in base a prestanza, salute e prezzo – allora la realtà ci si mostrerà per ciò che è: la profanazione di ciò che anche la coscienza più laica non può non intendere, al dunque, come territorio sacro. Sacro alla nostra umanità.

Perché se il concepimento e la nascita diventano faccenda di broker, avvocati e biologi, allora proprio nell’epoca che reclama sempre nuovi diritti individuali si dovrà anche accettare che l’essere umano venga al mondo ridimensionato, ridotto al rango di bene di consumo, menomato del suo diritto più elementare: essere voluto e accolto da una madre e un padre come un dono e non per ottemperare le clausole di un contratto che prevedono una seconda madre, separando genetica e gestazione, se non anche una terza, quando la divisione dei compiti si spinge a introdurre la figura della madre biologica 'donatrice' dei gameti.

Di queste, chi sarà la vera mamma di un bambino nato per soddisfare diritti altrui? E per la donna o l’uomo che sarà quale ruolo avranno madre gestazionale e biologica, fossero pure – come talora si argomenta – volontarie o consenzienti, rispetto alla madre sociale, che per i patti stipulati si tiene l’esito finale di un 'percorso di produzione'? Il tempo del coltivare la vita nel grembo trasformato in un turno in fabbrica solo molto lungo è un travisamento dell’umano talmente radicale da poter chiedere conto a tutti di quel che si pensa sulla vita, la società, il domani, il mondo.

Donne in gravidanza

Donne in gravidanza - Archivio Siciliani

Dentro il giudizio sulla pratica per noi ripugnante dell’utero in affitto – e pazienza se qualcuno si scandalizza davanti a un’espressione che sbaraglia le suadenti ipocrisie lessicali della 'gestazione per altri' o della 'riproduzione collaborativa' – ci sono il nostro modo di intendere, desiderare e costruire maternità e filiazione, famiglia e diritti delle donne, dignità umana e prerogative dell’infanzia, eguaglianza tra persone e diritti dei singoli per quanto piccoli e poveri possano essere (e quanto spesso le madri in locazione sono costrette a cedere il proprio ventre per necessità), ma anche lo sguardo condiviso su nascituri, paternità, amore coniugale, procreazione, biomedicina, tecnologie riproduttive.

E in ultima analisi l’idea delle relazioni nelle quali si crede, e quale futuro vogliamo darci. Nei figli è racchiuso il messaggio di speranza che una generazione affida al mondo del quale si è preso la responsabilità. Non a caso in tempi di paure e diffidenze le culle si diradano e i bambini diventano meno numerosi degli anziani. Il pianeta della cui salute abbiamo iniziato a preoccuparci con doverosa e forse tardiva sensibilità attende che, prima dell’eccesso di plastica e anidride carbonica, chi lo abita tema il deformarsi irreversibile di ciò che ci costituisce come persone. E abbia chiaro quel che rende la donna e l’uomo davvero tali.

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