
Nel 2024 sono stati lanciati nello spazio 3mila satelliti
Dimenticate (per un attimo) le montagne di plastica che vagano negli oceani e che incessantemente continuiamo ad alimentare. C’è un altro, inaspettato, «fronte» che rischia di diventare – e altrettanto velocemente – un’emergenza ecologica, reclamando con la stessa urgenza interventi rapiti: è lo spazio. I numeri sono impietosi. Come riporta il sito Scientific American, «attualmente ci sono più di 25.000 detriti artificiali tracciabili, più grandi di 10 centimetri, in orbita attorno alla Terra». L’accelerazione è stata vertiginosa: «Dieci anni fa l’umanità lanciava nello spazio circa 200 oggetti all’anno. Ora ne lanciamo un numero enormemente più grande, senza alcuna prospettiva di rallentamento». Nel 2023 sono stati spediti nello spazio 2.600 satelliti, l’anno dopo oltre 3mila. Sono 91 le nazioni coinvolte nella corsa spaziale. E le previsioni non sono incoraggianti. Secondo alcune stime, il numero di satelliti attivi nell’orbita terrestre potrebbe raggiungere nel 2030 l’esorbitante numero di 100mila unità. La (inevitabile) conclusione? «Più oggetti lanciamo – si legge ancora su Scientific American – più alta è la probabilità che i detriti (che viaggiano a velocità fino a 15 volte superiori a quelle di un proiettile) possono colpire veicoli spaziali in funzione, creando rifiuti ancora più pericolosi». L’equazione è semplice quanto inesorabile: più satelliti, più detriti. È l’esplosione di quella che gli esperti chiamano la «spazzatura» spaziale.
Siamo alla soglia di una rivoluzione antropologica che ci costringerà a ritracciare i confini delle nostre percezioni. Perché se è vero che non abiteremo (almeno in tempi brevi!) lo spazio, è altrettanto vero che lo spazio sarà, in maniera sempre più massiccia, colonizzato dalle nostre protesi tecnologiche. Dalle quali, già oggi, dipende la nostra vita quotidiana. «Lo spazio – spiega ad Avvenire l’astrofisica Patrizia Caraveo, autrice di Ecologia spaziale. Dalla Terra alla Luna a Marte (Hoepli) – ha già un profondissimo impatto sulla nostra vita. Tutti i giorni utilizziamo servizi che non sarebbero possibili senza l’uso dei satelliti. Anche se non ce ne rendiamo conto, la nostra economia si fermerebbe senza i satelliti Gps che forniscono la temporizzazione di ogni transazione bancaria. Più in generale, le previsioni del tempo, il controllo dello stato di salute di mari e di fiumi, dell’estensione dei ghiacciai, dell’entità dei danni nei territori devastati da disastri naturali sono tutti servizi satellitari. Inoltre, quando guardiamo un evento sportivo che è in corso dall’altra parte del mondo, utilizziamo i satelliti che fanno da ripetitori. Questo sforzo di connessione globale è basato sul lavoro della Nasa che ha voluto condividere con il mondo intero le immagini degli astronauti Apollo sulla Luna».

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La corsa spaziale rende necessario anche un altro cambio di passo. E di prospettiva. Va sovvertita la percezione comune che fa dello spazio qualcosa di infinito. Invece non lo è. Tanto che corriamo il rischio che si crei una sorta di sovraffollamento, di intasamento cosmico. «Lo spazio è grande – spiega ad Avvenire John L. Crassidis docente della State University of New York –, ma si sta rimpicciolendo ogni giorno man mano che mettiamo più satelliti nello spazio. Il “problema” è che non abbiamo avuto molti casi di collisioni gravi. Ho sperato che la collisione involontaria tra i satelliti Iridium e Cosmos nel 2009 sarebbe stata un campanello d’allarme, ma purtroppo non è avvenuto. Credo che l’unico vero campanello d’allarme sarà un astronauta ferito da un detrito».
Sono due i grandi temi che il problema della spazzatura stellare impone. Il primo è immediato, urgente: come ripulire lo spazio dai detriti e come impedire, contemporaneamente, che se ne continuino ad accumulare (pericolosamente) altri. Ogni satellite spedito in orbita è sottoposto a una regola rigida: quella dell’obsolescenza. La sua vita media oscilla tra i 5 e i 10 anni. «Per evitare la crescita della spazzatura – spiega Caraveo – bisogna togliere di mezzo tutto quello che ha finito il suo compito. Questo significa dotare i satelliti (e i lanciatori) di motori che possano farli abbassare fino a quando l’attrito con l’atmosfera li brucia. Questo libera spazio orbitale, ma inquina l’alta atmosfera dove vengono depositate tonnellate di alluminio, titanio, silicio oltre alle famose terre rare. La presenza di tutti questi metalli, che non esistono nella nostra atmosfera, è già stata misurata nelle particelle di aerosol raccolte a 20 km di altezza. Anche su questi aspetti dovremmo riflettere: le attività spaziali hanno un impatto ecologico, per questo dobbiamo occuparci dell’ecologia spaziale».
Il secondo tema obbliga a proiettarsi in un orizzonte più ampio e chiama alla scrittura di regole globali per la gestione comune dello spazio. Solo una governance condivisa può frenare la corsa “anarchica” ad affollare e privatizzare lo spazio. Per Crassidis «un buon inizio sarebbe seguire le linee guida delle Nazioni Unite emanate nel 2010. Purtroppo, non esistono trattati moderni tra i Paesi. Gli Stati Uniti hanno alcune regole che contribuiscono a rallentare la crescita dei detriti spaziali. Ad esempio, ogni satellite in orbita terrestre bassa (300-2000 km) deve avere abbastanza carburante residuo al termine del suo ciclo di vita per effettuare un rientro controllato sopra un’area disabitata dell’Oceano Pacifico (nel caso in cui qualcosa dovesse attraversare l’atmosfera, nessuno si farà male). Ma non tutti i Paesi seguono le nostre regole. Ciò di cui abbiamo bisogno sono trattati internazionali, ma come per la governance spaziale, dubito che ciò accadrà presto».
Una governance globale, al momento, nel bel mezzo del disordine mondiale che stiamo attraversando, suona più come un’utopia che una possibilità reale. «Una governance comune – sostiene Caraveo – sarebbe necessaria. Un satellite sorvola tutta la Terra e quindi dovrebbe essere una materia per le Nazioni Unite che si sono occupate di regolare l’utilizzo pacifico dello spazio con un trattato del 1967. Ovviamente molte cose sono cambiate da allora, adesso viviamo nell’epoca dell’economia spaziale dove un solo investitore privato possiede ben più della metà dei satelliti operativi. Forse sarebbe il caso di preoccuparsi di questo inedito monopolio spaziale. Ma la situazione geopolitica mondiale non mi rende ottimista sulla possibilità di negoziare nuovi trattati che dovrebbero imporre regole e limitazioni. La Commissione Europea ha al vaglio una legge sullo spazio. È un primo passo, ma non basta».