giovedì 16 maggio 2013
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 Continuare a fingere di non vedere non è più possibile. Il paravento del "non savevo, non potevo immaginare", con l'abuso si è irrimediabilmente sciupato e non copre più. Il grido straziante della "terra dei fuochi" – territori a cavallo delle province di Napoli e Caserta –, grazie ad Avvenire, ha superato i confini della nazione ed è conosciuto anche all’estero. Le nostre campagne sono in agonia. Lo scaricabarile tra le varie componenti della pubblica amministrazione si è fatto insopportabile, come i piagnistei delle autorità locali che lamentano mancanza di soldi per la sorveglianza, la manutenzione, le bonifiche. Chi, in questo difficile momento della politica italiana, si è preso l’onore e l’onere di governare il Paese deve sapere, se ancora non lo sa, che più di un milione di italiani, persone civili, perbene, vive nel terrore di ammalarsi e morire prima del tempo stabilito. E non per problemi genetici o perché fuma troppo e mangia male. L’unica ' colpa' è vivere in questa porzione di territorio, che per anni ha dovuto sopportare sversamenti abusivi, illegali, criminali di immondizie industriali che partivano dalle regioni del Nord per finire interrate in Campania. Questa verità ormai non è più messa in dubbio da nessuno.Ai rifiuti velenosi del Nord si aggiungono quelli delle tante piccole industrie campane che lavorano in regime di evasione fiscale, dove tutto avviene ' regolarmente' in nero. E in nero, per forza, deve avvenire anche lo smaltimento dei ritagli di tessuti, di pellami, collanti, diluenti, acidi. A un recente convegno, il comandante della Polizia forestale di Napoli, lamentandosi del silenzio di tanti media, faceva sapere che «un altro ettaro di terreno è stato sequestrato in zona agricola di Caivano, ove sono seppelliti rifiuti di ogni tipo in ragione di oltre due metri di spessore coperti da terreno di coltivazione, così da consentire di coltivare a scopo alimentare». E aggiungeva sconsolato: «È una vera schifezza».Una 'schifezza' che sta facendo più vittime di un’epidemia. Che costringe tanti nostri giovani a fuggire. Qualche giorno fa, su Rai3, si è parlato di nuovo dell’emergenza. Un ottimo servizio. Ebbene, già durante la notte, siamo stati sommersi di telefonate, di email, di sms. Il popolo italiano, dalle Alpi alla Sicilia, ci si è stretto attorno, chiedendo, interrogando, offrendo solidarietà e sdegno. Unici latitanti restano i politici, a cominciare da quelli locali. Il problema è enorme e deve essere affrontato con intelligenza, desiderio di giustizia, amore per la propria terra e la propria gente. Occorrono risorse e uomini dalle mani trasparenti, al di sopra di ogni sospetto.
Intanto la gente scrive: «Buongiorno, padre, sono un musicista della provincia di Napoli. Ho perso mio padre due anni fa per un cancro di cui i medici non sono neanche riusciti a identificare l’origine...». «Mi chiamo Gerardo, ho 24 anni. Ho conosciuto il tumore. Ho conosciuto il sentirselo dire. Ho conosciuto l’attesa, la radioterapia e la solitudine... a vent’anni ho conosciuto la malattia che ti cambia...». E un pellegrinaggio di genitori che hanno perduto i figli sfila sconsolato in parrocchia alla ricerca di conforto. Tutti siamo addolorati. Tutti preoccupati. Tutti scandalizzati. Manca però la parte più importante per organizzare la riscossa civile: la politica. Che si faccia avanti, prenda coraggio e si metta in ascolto del popolo. Chieda scusa per le omissioni e le collusione e si rimbocchi le maniche per ridare dignità a un popolo che chiede aiuto per non morire.
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