venerdì 17 luglio 2009
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Caro Direttore, «Ci sono i turisti, non voglio i disabili»: è con queste parole – e verrebbe da non crederci – che un gruppo di ragazzini con problemi mentali in cura presso la casa famiglia Villa Gramante, a Magazzini, è stato invitato ad abbandonare un bar che si affaccia su una spiaggia di Rio dell’Elba, a Portoferraio. La vicenda è accaduta circa due settimane fa ed è stata raccontata sull’edizione livornese de «Il Tirreno» il 7 luglio scorso. Pare che dopo due mesi di frequentazione giornaliera, la titolare del locale abbia avvicinato un’operatrice che segue il gruppo di disabili in questione e li abbia invitati a non ripresentarsi fino al mese di settembre. «La vostra presenza – le ha detto - non è opportuna». Di più: visto che il responsabile della casa famiglia le ha risposto che il gruppo non avrebbe mai più frequentato quel bar, la signora ha rincarato la dose di stupidità: «Forse ho sbagliato – ha replicato – ma non sono un’assistente sociale, solo un gestore. I clienti mi chiedevano continuamente spiegazioni. Cosa avrei dovuto fare?». Io mi fermo alla cronaca dei fatti, direttore. Lascio a lei, che è più autorevole di me, un commento su questa vicenda incredibile, che racconta le piccolezze a cui il genere umano (o è una propensione tutta nostrana?) può arrivare al giorno d’oggi.

Lisa

Proprio oggi, a pagina 12, affrontiamo il tema delle vacanze dei disabili, argomento che ci sta a cuore, e volentieri do spazio anche al suo contributo, gentile signora Lisa, con la richiesta di commentare questa avvilente storia. Ma che dire? Che altro aggiungere alle parole già autenticamente, e davvero autorevolmente, spese da lei nella sua lettera? Non è la prima volta che succedono episodi del genere, che per fortuna vanno però rarefancedosi, ma che tuttavia non mancano, purtroppo, e sono spie di un degrado di civiltà. Fatti che ricorrono soprattutto in estate, quando la presenza di portatori d’handicap in hotel, pensioni, campeggi – ma anche in negozi, bar e locali pubblici – viene talora vista con fastidio, come un inconveniente da risolvere, come un attentato al «decoro». In realtà, di sconveniente c’è solo la meschinità, la mancanza di sensibilità, il pregiudizio che sottende simili «sparate». Evidentemente, ancora lunga è la strada affinché la condizione dei disabili abbia pieno diritto di cittadinanza e venga riconosciuta come una «normalità». Un diritto di cittadinanza che deve albergare e radicarsi non tanto nelle leggi (che pur esistono), ma soprattutto nelle coscienze, nella griglia dei valori primari della società, nello stile di vita di ognuno. In tal direzione, tanto potrebbero fare la famiglia, la scuola, l’educazione, i mass media. Detto francamente, ciò che più mi scandalizza e mi indigna non è solo la imbarazzata giustificazione dell’albergatrice, ma anche l’insofferenza dei clienti, la piccolezza mentale e morale di certe persone «per bene» che non volevano vedere la loro vacanza «guastata» da una comitiva ritenuta poco desiderabile, che non erano disponibili a sostenere, con un minimo di pazienza, quei piccoli «disagi» che la convivenza con un gruppo di disabili può comportare. Qui non si tratta di indire delle campagne di «Pubblicità progresso», ma di ricostruire un clima umano, di ristabilire una convivenza accogliente in cui nessuno debba nascondersi, in cui alla sofferenza per un corpo sfortunato non si sommi l’umiliazione dell’esclusione.
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