mercoledì 27 aprile 2011
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Ognuno di noi ha una sua idea, che ci sia qualche chiave particolare che apre l’uomo, che permetta di vederci dentro, cosa c’è, cosa manca. Dostoevskij era convinto che la chiave fosse il delitto. Quando commette un delitto, o un crimine grave, l’uomo va in crisi e si apre, guardandoci dentro vedi cosa c’è e cosa manca (di solito, manca Dio). I grandi romanzi di Dostoevskij sono costruiti su questo. In queste ore in Italia abbiamo assistito a un orribile crimine, l’assalto scriteriato di un gruppetto di ragazzi e ragazzini, tre su quattro minorenni, contro una pattuglia di carabinieri per evitare un controllo e non perdere la patente. Un carabiniere è in coma, l’altro rischia di perdere un occhio. Questo giornale ne ha dato precise notizie ieri. I ragazzi sono stati presi, conosciamo la dinamica del reato, sentiamo le loro spiegazioni, sappiamo che andavano a un rave party, e che gli è montata la collera quando l’alcol-test li ha smascherati, sappiamo cosa li ha spaventati, che figli sono, e che rapporto hanno con le famiglie. Fermiamoci e ragioniamo. «Non sappiamo nulla», dicono a pochi chilometri di distanza gli organizzatori del rave party, subito intervistati. Perché il mondo dei giovani funziona a compartimenti stagni. Se uno va in overdose, gli altri ballano. Il maggiore dei ragazzi ha appena 19 anni, è il più imputato. È lui il capo? Capo qui vuol dire che ha più autorità, e l’autorità sul gruppo non si ha a priori, si conquista sul campo. E la conquista il più duro, il più picchiatore. Il gruppo si domina con la forza. Siamo fuori della legge, il più fuori ha più autorità. Dice: «Non volevo che mi togliessero la patente». La patente è un documento che ti fa padrone del mondo. Sul mondo spalancato il primo istinto è volare. La patente porta la data del 20 aprile, questa era la prima scorribanda, per la prima volta il mondo era una facile preda. Cosa significa togliere la patente a un ragazzo neo-patentato, così eccitato? È come infliggere il Daspo a un teppista degli stadi. Col Daspo gli togli la squadra, col ritiro della patente gli togli l’auto. Squadra e auto sono i due collegamenti col mondo, un mondo di libera violenza, violenza negli stadi, violenza sulle strade.La violenza è un rito, e ogni rito ha la sua etichetta. L’auto deve prestarsi, per la potenza o per il colore. Questa Clio è argentata, la Bmw di Maso era nera. Non di rado, anche se l’auto la paga il papà, il colore lo scelgono i figli. Scappando in auto, inseguiti, han buttato dalla finestra un sacchetto, nel sacchetto c’era ketamina, dunque sanno che la ketamina è pericolosa, meglio se non gliela trovano addosso. Dà effetti sedativi ma anche allucinatori. Usata nei topi, gli danneggia il cervello. Nei loro discorsi, chi la prende, se va fuori da questo mondo, sta bene, perché questo mondo lo fa stare male. C’è sempre questa componente, nella spinta verso le droghe, l’alibi contestatorio o anti-sociale. In realtà si fan del male e basta. Se lo sospettano, i genitori si spaventano, mentre se sono sospettati e non scoperti, i figli si gasano. I due mondi, padri e figli, non comunicano. Quando esplode la tragedia, il pericolo più temuto dai figli è che vengano a saperlo i genitori. I figli temono il rendiconto ai genitori come la punizione più grave. Specialmente le figlie. Entrano più volentieri in prigione che in casa. Finora tornavano a casa arroganti e intrattabili, perché erano nascosti nel mistero, adesso rivedere i genitori è un trauma. Perché i due mondi s’incontrano. Dunque è questo il rimedio: l’incontro dei due mondi, padri-figli. I ragazzi lo temono come una sconfitta. Invece è l’inizio della risalita, unica soluzione possibile.
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