venerdì 24 gennaio 2020
La Domenica della Parola non vale solo per un giorno ma per tutto l’anno, come il Corpus Domini. Mai come in questo frangente la Chiesa avverte il bisogno dell’unità
L'identità e l'unità di un popolo attorno alla Parola «ritrovata»

Vatican Media

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La prima Domenica della Parola di Dio è alle porte e il rischio che si riduca a una semplice celebrazione eucaristica più solenne è in agguato. La lettera apostolica Aperuit illis (30 settembre 2019) di papa Francesco evita tale rischio precisando, tra l’altro, che questa domenica non è semplicemente 'della Bibbia' ma della Parola in essa contenuta. La Domenica della Parola non vale soltanto per un giorno ma per tutto l’anno, come il Corpus Domini. Fra le implicazioni ecclesiali e pastorali più attuali sulla Parola di Dio risaltano il carattere identitario, la sacramentalità, la carità e l’azione dello Spirito.

Così Aperuit illis commenta il ritrovamento e la lettura della Legge (Neemia 8,1-10): «La Bibbia è il libro del popolo del Signore che nel suo ascolto passa dalla dispersione e dalla divisione all’unità. La parola di Dio unisce i credenti e li rende un solo popolo» (n.4). Il ritorno dall’esilio e la festa delle Capanne a Gerusalemme ricordano il ritrovamento della Legge e la sua spiegazione dall’alba al tramonto. Come un solo uomo, il popolo tende l’orecchio per ascoltare la parola di Dio. Protagonista del ritrovamento della Legge è il popolo, di cui i leviti sono a servizio, in quanto ministri della Parola. Intorno alla Scrittura ritrovata il popolo riscopre la propria identità perché si riconosce nell’unità dopo la dispersione.

Per diciannove volte Aperuit illis scandisce il termine 'popolo', declinandolo con l’unità intorno alla Parola di Dio: è il suo filo conduttore. Mai come in questo frangente la Chiesa avverte il bisogno dell’unità, e di quell’unità generata dalla Parola di Dio, il suo essenziale marchio identitario. I buoni ministri della Parola non si servono della Bibbia per asservire il popolo, ma sono a servizio della Parola per servire il popolo. L’unità generata dalla Scrittura approda in quella della Chiesa che si riconosce «un solo corpo, un solo Spirito, una sola speranza, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, uno solo Dio e padre di tutti» (Ef 4,4-6). Così incisiva è l’azione della Scrittura sul popolo che gli permette di passare dal pianto alla gioia: «La gioia del Signore è la vostra forza».

«Quando i sacramenti sono introdotti e illuminati dalla Parola si manifestano più chiaramente come la meta di un cammino dove Cristo stesso apre la mente e il cuore a riconoscere la sua azione salvifica» (Aperuit illis, n.8). Nel solco tracciato dall’esortazione Verbum Domini di Benedetto XVI (30 settembre 2010), Aperuit illis rinsalda una relazione troppo spesso compromessa nella vita ecclesiale tra Parola di Dio e sacramenti. Per colmare il fossato al n.6 rilegge la scena madre con cui s’introduce: l’incontro del Risorto con i discepoli di Emmaus. Una liturgia in azione è quella scena che inizia non con la frazione del pane, quando si fa sera, ma dall’alba quando il Risorto si fa loro compagno di strada e apre le Scritture. Allora il cuore inizia a passare dal battito lento della brachicardia sino all’ardente tachicardia di chi corre per annunciare la Risurrezione.

L'incontro di Filippo con l’eunuco della regina Candace (Atti 8, 26-40) sottolinea ancora di più il legame tra Scrittura e sacramento. Senza che Filippo glielo proponga, il sovrintendente chiede di essere battezzato. Gli è bastato comprendere che Gesù è l’agnello con- dotto al macello di cui parlava Isaia per chiedere di essere unito alla sua morte. Scrittura e sacramenti sono inseparabili perché la prima approda nel mistero pasquale e i secondi ne fluiscono. Per questo la sacramentalità della Parola non denota un sacramentale minore, ma al contrario un’imprescindibile sacramentalità originaria. Senza la Scrittura i sacramenti impediscono di riconoscere il corpo eucaristico ed ecclesiale di Cristo e cadono nell’individualismo dei culti misterici.

«La Parola di Dio è in grado di aprire i nostri occhi per permetterci di uscire dall’individualismo che conduce all’asfissia e alla sterilità mentre spalanca la strada della condivisione e della solidarietà». Così Aperuit illis, al n.13, commenta la parabola di Lazzaro e il ricco Epulone. La drammatica parabola s’impone per il legame tra Scrittura e carità. Di fronte alla richiesta del ricco d’inviare Lazzaro dai fratelli che sono in vita, Abramo risponde che «hanno Mosè e i Profeti ». E se i fratelli non si convertiranno all’ascolto della Scrittura neanche se uno risorgesse dai morti crederanno. Contro una religiosità divinatoria che indaga sull’oltretomba per proiezioni azzardate Gesù rimanda all’ascolto della Scrittura. Scrittura e carità stanno e cadono insieme poiché, tutta la Scrittura trova il suo adempimento nell’amore per il prossimo e per chi è disposto a farsi prossimo dell’altro, come il buon samaritano. Quando però i beni materiali diventano il proprio tesoro la Scrittura non garantisce la sequela di Gesù e, tanto meno, un tesoro in cielo, com’è avvenuto con il notabile ricco.

«L'azione dello Spirito Santo non riguarda soltanto la formazione della sacra Scrittura ma opera anche in coloro che si pongono in ascolto della parola di Dio» (Aperuit illis, n.10). L’assunto per cui l’ispirazione termina con l’ultimo libro della Bibbia impedisce spesso di riconoscere che lo Spirito continua a operare tra la Scrittura e i destinatari. Senza negare che Gesù Cristo è il sì definitivo di Dio, la prima e ultima lettera di qualsiasi alfabeto umano, lo Spirito continua ad agire quando la Scrittura incontra ogni persona umana.

La lettera del Papa al n.12 richiama le vicende di Ezechiele e Giovanni di Patmos per sottolineare la permanente azione dello Spirito, tra la Scrittura e i destinatari. Ezechiele è esortato a mangiare il libro che si rivela dolce come il miele, tale è la bellezza della Scrittura (Ez 3,3). Nella stessa traiettoria, ma con diversa originalità, Giovanni è invitato a mangiare il libretto che in bocca è dolce come il miele ma nelle viscere diventa amaro come il fiele (Ap 10,10). La prima scena dice che nulla è più necessario della Scrittura: è il pane di cui bisogna nutrirsi. La seconda sottolinea che il principale destinatario della profezia è chi deve comunicarla. Contro espressioni donchisciottesche di profetismo, che non mancano nella Chiesa, la visione dell’Apocalisse sottolinea che se non si è profeti con se stessi non lo si è neanche per gli altri. Per questo la profezia è il carisma più arduo: ingigantisce lo scarto tra l’alterità della Parola e la propria indegnità.

Le note di Aperuit illis che abbiamo scelto veicolano l’esigenza di vivere la Domenica della Parola per riconoscerla e frequentarla come lingua madre di tutte le lingue della fede (Pierangelo Sequeri). In pochi versi Jorge Luis Borges esprime il riconoscimento che la Scrittura produce quando nutre ogni vita umana: «En ese libro estás, que es el espejo / de cada rostro que sobre él se inclina / y del rostro de Dios, que en su complejo / y arduo cristal, terrible se adivina» (da A Israel) - «Tu sei in questo libro, che è lo specchio / di ogni volto che sopra s’inchina / e del volto di Dio, che nel suo complesso / e duro cristallo, terribile s’indovina».

Pro-Rettore Pontificia Università Lateranense, Vice-presidente Associazione biblica italiana


Letture. «Quando arde il cuore» la Chiesa trova la strada

«Una domenica per tutte le domeniche»: è un’espressione assai efficace quella scelta da don Antonio Pitta per fotografare la «Domenica della Parola» che fa il suo ingresso dopodomani nel calendario della Chiesa, destinata a diventare un punto fermo. Il suo nuovo libro dedicato a questo appuntamento – «Quando arde il cuore», San Paolo, 158 pagine, 14 euro – è una rilettura analitica della lettera «Aperuit illis» con la quale il Papa l’ha istituita, una lettura necessaria per comprendere – è qui l’impegno che ci attende – che non si tratta di un’altra "giornata a tema" ma di una domenica dedicata a comprendere che la Chiesa è chiamata a fare l’esperienza dei discepoli di Emmaus – icona-guida del libro –, che «passano da un cuore tardo a uno che arde».

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