giovedì 16 luglio 2015
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Il romano medio non è stupido, eppure non capisce. Non capisce più. Sbuffa, impreca, suda sotto questo sole impietoso in mezzo al traffico tiranno. Ma non capisce che cosa sta succedendo in questa città: città sua, ma anche un po’ di tutto il mondo. Non capisce perché la metropolitana viaggi a singhiozzo: se chiede agli addetti gli dicono che «mancano i treni» (e chi li ha presi?) ma poi scopre che i dipendenti stanno attuando una specie di sciopero bianco che rallenta i tempi e fa saltare le corse. Ieri si guardava in giro e vedeva tanti operai dell’Ama (una volta si chiamavano netturbini, e non c’era niente di male) che pulivano le strade, con lance ad acqua, ramazze, camion e camioncini. Ma il romano non è stupido e se sfoglia un giornale, accende la tv o si collega a internet viene a sapere che proprio ieri il sindaco ha presentato il «nuovo sistema di tracciamento dei mezzi di pulizia e raccolta dei rifiuti». Insomma, meglio aspettare qualche giorno per cominciare a sperare. È proprio questo il punto: Roma sembra non sperare più. Sopravvive, piuttosto. Galleggia su un mare di degrado che non può essere spuntato all’improvviso, ma si è formato negli anni per accumulazione di sprechi, di corruzione, di incapacità, di incuria e di menefreghismo. Talvolta, anzi spesso, anche per responsabilità del romano stesso, che piano piano ha dimenticato di rispettarla, questa sua grande, bella, enorme città. Ma oggi desidera proprio questo: il ritorno al rispetto della sua quotidianità urbana. Roma deve poter vivere non solo durante i grandi eventi, ma anche prima e dopo. Chi la governa, trascorsa una lunga fase di 'rodaggio' caratterizzata tra l’altro da numerosi grattacapi giudiziari e da iniziative di cui spesso la città non avvertiva l’urgenza e neppure il bisogno, dimostri che è in grado di garantire ai cittadini questo diritto. Perché il romano non capisce come le dimissioni del vicesindaco possano diventare un caso politico nazionale. Via un vicesindaco se ne fa un altro e finisce lì, o no? No, non più. Perché prima di lui si sono dimessi capigruppo, consiglieri, dirigenti. Sullo sfondo c’è l’ombra imponente di 'mafia capitale', l’inchiesta giudiziaria che sta facendo tremare i corrotti ma anche gli onesti, visto che nel tritacarne delle intercettazioni pubblicate sui giornali si finisce anche solo per essere stati nominati da un indagato. Dietro l’angolo c’è la trappola del «tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera», per dirla – senza rassegnazione – con il romano Francesco De Gregori. Eppure c’è il rischio che il romano si rassegni. L’impressione, per la verità, è che in buona parte si sia già rassegnato. Sì, c’è chi protesta ogni giorno per il degrado, le buche, il traffico, i disservizi, l’insicurezza e la violenza brutale che ieri hanno fatto un’altra vittima, un gioielliere ucciso durante una rapina nel rione Prati. Ma in strada, soprattutto in periferia, vedi per lo più gente che la rabbia se la tiene dentro, volti induriti e forse perfino un po’ incattiviti. Perché il romano medio è de core, generoso, ospitale. Oggi un po’ meno: a torto o a ragione si sente insidiato, insicuro, derubato. Ma poi a fare le spese della sua reazione non è chi lo ha derubato, bensì magari chi ha meno di lui, chi è arrivato 'da fuori' inseguito da guerra, fame, persecuzione. Qua e là, in zone che a volte nemmeno chi è di Roma sa che sono a Roma, scoppiano così tensioni e scontri tra poveri, o comunque tra gente comune che in altri tempi si sarebbe data una mano. E magari, senza far notizia, continua a darsela. Certo non è facile digerire che «la grande bellezza», un quadro di valore inestimabile dipinto dalla Storia, sia incorniciato da bottiglie di birra vuote e cacche di cane. La colpa, si diceva, è anche del romano. Il quale, però, non capisce come sia potuto accadere che Ostia finisse, così dicono in procura, nelle mani di un clan in grado di spremere denaro da qualsiasi attività – legale, illegale, paralegale – che si svolgesse sul litorale. A pochi metri, sulla spiaggia affollata, gli ultimi romantici (o i soliti esaltati, dipende dai punti di vista) esibiscono tatuaggi con la scritta Civis romanus sum: «Sono cittadino romano». Purtroppo, sospirano ormai quasi tutti gli altri. Perché se una volta la cittadinanza romana era un onore, perfino un premio per gli schiavi divenuti liberi, oggi è diventata quasi una schiavitù. Ciò è impensabile e inaccettabile: chi deve, se ne è capace, liberi i romani. Oppure, signor Sindaco, cambi mestiere.
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