martedì 6 novembre 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro direttore,
don Lorenzo Milani diceva che bisogna avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, anche se talvolta non è facile. Personalmente non mi disturba essere definita handicappata o persona con handicap, piuttosto che persona diversamente abile e disabile. Il nome delle cose non cambia la loro sostanza: un non vedente è pur sempre un cieco come l’operatore ecologico è lo spazzino. Le persone vanno rispettate nella loro dignità non soltanto con le parole, ma soprattutto con i fatti. Non sono le parole che mi disturbano, bensì i fatti. Mi disturbano, allora, i marciapiedi privi di scivoli o quelli dove gli scivoli ci sono ma hanno una pendenza elevata. Mi disturbano i negozi che hanno due entrate e in nessuna delle due c’è lo scivolo, oppure quelli dove c’è uno scivolo interno ma un gradino all’ingresso... Mi disturbano i locali, ristoranti o pizzerie dove c’è lo scivolo all’ingresso, ma manca il bagno per disabili (o viceversa) e quelli dove mancano tutti e due... Mi disturbano gli alberghi che si dicono provvisti di camere per disabili, ma il vano è piccolo per una sedia a rotelle, come la stanza da bagno dalla porta stretta e munita di un solo maniglione... Mi disturbano gli uffici pubblici privi di scivoli o con scivoli dalla pendenza stile rampa di lancio... E qui mi fermo, anche se potrei continuare, anzi no, c’è una cosa che più di tutte mi disturba: coloro che parcheggiano sugli scivoli per disabili e poi magari si commuovono quando ne vedono uno in tv. Concludo allora, rivolgendomi soprattutto a chi di dovere: definitemi come vi pare, tanto io non mi offendo, ma datemi invece la possibilità di muovermi e fare più cose possibili da sola. Questo mi basta.
Francesca Maria Zimmardi, Palermo
 
Mi auguro, cara signora Zimmardi, che il pieno rispetto di persone e regole metta lei, e ogni altra persona con handicap o diversamente abile, in condizione di essere il più possibile autosufficiente. E le auguro di essere effettivamente e serenamente in grado di badare a se stessa, ma anche di non bastarsi mai del tutto. Le auguro cioè di poter fare tante cose da sola, ma di non ritrovarsi mai da sola. Glielo dico quasi sottovoce, dopo aver letto con gratitudine questa sua lettera piena di vita, di orgoglio e di senso. E dopo averne colto e condiviso lo spirito profondo, che è quella di una persona che giustamente si pensa "in piedi" e che ha totale consapevolezza della cruciale importanza di ciò che serve per aprire strade e spalancare porte.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI