martedì 14 dicembre 2010
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Caro direttore,sono Letizia e ho 13 anni. Leggo Avvenire, ma anche i giornali della mia città e sabato scorso ho letto sulla "Gazzetta di Reggio" un’intervista a Umberto Galimberti. Uno dei tanti termini con i quali si può definire il mio stato d’animo dopo la lettura è: offesa. Ci sono tante affermazioni sulle quali non sono assolutamente d’accordo ma la principale è l’ultima. Riassumendo quello che ha detto in una frase, si direbbe che i giovani non hanno più speranze, sono un caso perso, non hanno nessun aggancio in questo mondo, e non si può fare nulla. Io invece vorrei dire forte che noi di speranze ne abbiamo! Eccome se ne abbiamo! Sono le speranze che tutti i giorni ci danno la forza di andare avanti, anche nei momenti più difficili. Sono le speranze che ci aiutano a sorridere quando tutti (o quasi) piangono! Certo, che se certi adulti fanno di tutto per non farci apprezzare il bello e il bene che c’è nel mondo, sono loro che ci tolgono le speranze. Non abbiamo nessun aggancio in questo mondo? Io di agganci ne ho, eccome! Gli amici sono agganci, la fede è aggancio, la famiglia è aggancio. Basta farli valere, basta volerli vedere. Non si può fare niente, nessuno può intervenire? Invece per noi si possono fare tante cose, per esempio incominciare a farci credere nel futuro, incoraggiarci nel sognare il nostro domani, darci speranza. E sono molte le persone che possono intervenire, tutte le persone che ci vogliono bene, tutte le persone che in noi vedono il loro futuro, tutte le persone che in noi credono veramente.Con speranza.

Letizia R., Reggio Emilia

Le analisi profonde e funeree sulla "nuova" gioventù si moltiplicano, e lo stesso accade con quelle superficiali e altrettanto pessimistiche. Il vezzo è antico, sebbene oggi motivi di allarme e di preoccupazione non manchino affatto. Per questo ti dico, cara Letizia, che hai fatto proprio bene a mandarmi la tua bella lettera. Perché semplici e dirette parole di speranza fanno bene a te, che le possiedi e hai saputo scriverle, come a me e a tutti coloro che le leggeranno. Certo, mi dispiace che tu abbia dovuto sentirti "offesa" per metterti al computer, ma – credimi – ne è valsa la pena. Penso che anche il professor Galimberti sorriderà, se gli capiterà di leggere la tua reazione, e magari ne sarà colpito e ci penserà su. Io lo sono, e ti dico grazie tre volte (e in crescendo): per i giornali che leggi, per i pensieri che pensi, per la vita che fai e che sogni.
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