L'epidemia, la forza della preghiera e la cooperazione per il bene di tutti
martedì 25 febbraio 2020

Caro direttore, una cosa mi colpisce stamattina, il bombardamento di parole e di messaggi, chi minimizza, chi invece fa presente la gravità di questo virus, chi è rassegnato, chi invece scatena la sua rabbia contro chiunque: mi viene voglia di reagire, di dire anch’io la mia, ma mi fermo perché dal cuore mi sorge spontanea una domanda, che cosa significa questa circostanza per me, per noi, che cosa chiede? A me interessa questa domanda, solo avverto che Dio mi sta chiedendo di poggiarmi tutto su di Lui. Non avverto molto di più, le spiegazioni mi sfuggono, ma questo tempo lo sento come grande occasione per me di volgere lo sguardo a Lui, di non affossarmi dentro le mie reazioni, qualche volta pur giuste, ma di essere tutto teso verso di Lui, certo della Sua vigilanza sul mio bene, su quello di tutti. Il coronavirus, un male chissà di quali dimensioni, è una grande occasione per riconoscere il Suo amore e per attaccarvisi, è Lui che ci salva e ne deciderà il modo, io ci sono alla scelta che Lui fa! Poi, mi colpisce una situazione surreale: non vi è la Messa come ogni giorno alle 8.30, ma ciò che attira la mia attenzione è un signore che discute animatamente col sacerdote perché non riesce a capacitarsi di questo fatto. È vero: vi è un’ordinanza, la precauzione è ragionevole, però quel signore mi colpisce, a lui manca il Sacramento, e io mi accorgo lì quanto vale, è la certezza della Sua presenza che comunque rimane anche in questa situazione del tutto inimmaginabile.

Gianni Mereghetti Abbiategrasso


Caro direttore, sono molto perplessa dalle limitazioni imposte ai fedeli che nella settimana d’inizio della Quaresima si trovano in tutto il Nord Italia le funzioni bloccate. Il Duomo di Milano è chiuso e la metropolitana aperta... ma non è un assurdo? Le scuole chiuse e i ragazzi a bighellonare al bar. Asili chiusi e famiglie in difficoltà per il lavoro e centri commerciali aperti. Dov’è il raziocino in questo? Io vedo – perché ci credo: esiste, Gesù lo affronta proprio il mercoledì delle ceneri – l’«inquilino del piano di sotto» ridere di noi. Nel mio paese, Finale Emilia, la terribile peste raccontata da Alessandro Manzoni, non fece morti (a differenza dei Comuni limitrofi) perché il parroco portò in processione la Madonna delle Grazie, che ci ha aiutato anche durante il terremoto del 2012. Dov’è la nostra fede, direttore? Per fortuna una Chiesa “sotterranea” (strano, come in Cina) persiste: rosario recitato camminando per le vie del paese, senza assembramenti, adorazione eucaristica, benedizioni, campane e mille altre iniziative stanno fiorendo.

Antonella Diegoli Finale Emilia


In questi giorni di allarme e preoccupazione per il Covid-19 è stata naturale, immediata e premurosa la chiamata alla preghiera personale, familiare e comunitaria della nostra Chiesa italiana e nelle nostre Chiese locali. Ed è stato il Papa stesso, nella grande Messa che ha concluso domenica scorsa a Bari l’incontro ecclesiale sul Mediterraneo, a confermarne intenzione e intonazione delle diocesi che servono territori “colpiti” in Italia e nel mondo. Cosa di più e di meglio? Le lettere di un’amica e di un amico lettore che precedono queste righe toccano il tema e aiutano a riflettere: trovo limpida consonanza nella riflessione contenuta in quella del professor Mereghetti; trovo passione ferita in quella della professoressa Diegoli. E soprattutto trovo singolare che la “risposta” orante che lei stessa mi descrive venga definita una forma «sotterranea» di vita cristiana. Francamente, poi, non capisco il senso del suo parallelo “passatista” con la Cina, dove oggi – grazie a Dio e all’azione di uomini saggi – la Chiesa cattolica sta vivendo un’ancora fragile e faticosa, ma bella e promettente “primavera di unità”, per la prima volta – dopo decenni di sofferenze – con tutti i vescovi locali in comunione con il Successore di Pietro.

Il mio parere? Beh, io penso che dove fiorisce fiduciosa, serena e forte la preghiera, non c’è mai nulla di «sotterraneo» (sì, lasciamo il concetto a quello “del piano di sotto”) e mi è stato insegnato che era così anche per la Chiesa delle origini, che si riuniva nelle Catacombe in tempo di brutali persecuzioni. E penso anche che dove c’è fede si consuma lo spazio di rimpianti e di polemiche, e gli occhi dei credenti si fanno sempre più buoni e più profondi quando guardano e ascoltano la realtà e i propri pastori. Altra cosa, e altrettanto significativa, è la scelta ecclesiale di aderire con piena, generosa e leale collaborazione alle direttive emanate dalle autorità civili (nazionali e locali) impegnate in alcune zone del nostro Nord Italia «per contenere il rischio epidemico» da coronavirus. Altra cosa, e necessaria. La Cei lo ha ricordato con un comunicato della sua Presidenza, pensato e scritto nello spirito che in Italia permea la relazione tra Stato e Chiesa, una cooperazione tesa al bene comune, al vero bene di tutta la nostra gente. Non riesco a immaginare una scelta diversa da questa, e non credo che sarebbe stata capita un’obiezione alle precauzioni sanitarie tese a evitare per qualunque ragione «assembramenti» di persone in zone a serio rischio, che esso risulti già concreto o ancora potenziale. Certo, però, ha colpito anche me l’immagine del Duomo di Milano e della veneziana Basilica di San Marco a porte chiuse. E mi ha colpito l’assenza delle consuete funzioni religiose in tante chiese settentrionali. Per questo sono stato contento di sapere che nelle chiese stesse l’accesso a spazi di preghiera resta assicurato e che la Messa verrà videotramessa ogni giorno nel web e in canali tv. Nel male che sperimentiamo, da un punto di vista cristiano c’è sempre del bene possibile, e più di uno. Il focolaio di Covid-19 nel cuore dell’Italia settentrionale ci offre, poi, anche un bene forse inaspettato: la possibilità di riflettere su ciò che diamo così per scontato fino, magari, a non goderne come potremmo e dovremmo: l’accesso ai Sacramenti. Il «digiuno eucaristico» che molti stanno sperimentando merita riflessioni migliori delle mie. Ci torneremo su, è un impegno.

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