mercoledì 6 maggio 2015
​Il rating assegnato dall'Antitrust alle aziende di valore: così scatta l'alleanza virtuosa imprese-cittadini-istituzioni. Analisi di Leonardo Becchetti.
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La storia del rating di legalità è un primo promettente esempio di come l’azione sinergica di istituzioni, cittadini responsabili e imprese virtuose può rendere i valori un fattore competitivo nell’economia di mercato avvicinando la stessa al bene comune. Legalità e lotta alla corruzione sono due temi costantemente all’ordine del giorno e, purtroppo, agli 'onori' della cronaca nel nostro Paese. È ben noto che tra i famosi spread di economia reale e i ritardi italiani rispetto agli altri Stati europei la questione della corruzione e dell’illegalità rappresenta uno dei corni più spinosi del dilemma ed è uno degli elementi ostativi, forse il principale, alla ripresa costante e ampia degli investimenti in Italia. È altresì noto che illegalità e corruzione minano il successo della vita economica creando incertezza relativa ai diritti proprietari e generando una concorrenza sleale tra imprese 'infiltrate' e imprese 'virtuose'. Le prime hanno infatti accesso a una fonte di finanziamento abbondante e a basso costo (il denaro proveniente da attività illecite) a cui le seconde non accedono. E questo vantaggio competitivo sleale diventa tanto più rilevante in periodi di recessione in cui per le imprese sane l’autofinanziamento scarseggia e l’accesso alle fonti esterne diventa più difficile.   Per combattere corruzione e illegalità non basta l’azione di una sola delle forze sane del Paese (istituzioni, cittadini, imprese) ma è necessaria un’azione congiunta di tutte realizzata con l’ausilio meccanismi efficaci in grado di rovesciare lo svantaggio competitivo che le imprese sane hanno nei confronti delle imprese infiltrate. È per questo motivo che il rating della legalità rappresenta un’iniziativa di particolare interesse. Lanciata dai Ministeri dell’Economia e dello Sviluppo economico, con il decreto del 20 febbraio 2014, essa stabilisce i requisiti necessari affinché aziende iscritte da almeno due anni al registro delle imprese e con fatturato di almeno due milioni di euro possano avere un rating da uno a tre stelle e specifica le potenziali agevolazioni connesse all’attribuzione del rating stesso. Per ottenere la prima stella, è sufficiente l’assenza di notizie negative come condanne, azioni penali, infrazioni alle regole della concorrenza, assenza di accertamenti fiscali per reddito maggiore rispetto a quello dichiarato. Per ottenere la seconda e terza stella, entrano invece in campo comportamenti virtuosi come l’adozione di pratiche di responsabilità sociale d’impresa, l’adozione di modelli di prevenzione e contrasto alla corruzione e l’uso di sistemi di tracciabilità dei pagamenti anche per importi inferiori a quelli fissati dalla legge.   Le due premialità espressamente menzionate dal decreto sono quelle relative all’accesso ai finanziamenti pubblici (una a scelta tra preferenza in graduatoria, attribuzione di punteggio aggiuntivo o riserva di quota di risorse finanziarie allocate) e ai finanziamenti bancari. In quest’ultimo caso la premialità è necessariamente più vaga (non si può imporre a soggetti privati di finanziare imprese solo perché virtuose) e stabilisce che «le banche tengono conto della presenza del rating di legalità attribuito alla impresa nel processo di istruttoria ai fini di una riduzione dei tempi e dei costi per la concessione di finanziamenti», «definiscono e formalizzano procedure interne per disciplinare l’utilizzo del rating di legalità e i suoi riflessi su tempi e sui costi delle istruttorie», «considerano il rating di legalità tra le variabili utilizzate per la valutazione di accesso al credito dell’impresa e ne tengono conto nella determinazione delle condizioni economiche di erogazione, ove ne riscontrino la rilevanza rispetto all’andamento del rapporto creditizio».  L’eventuale agevolazione creditizia ha una chiara ratio economica visto che una delle componenti di rischio di non restituzione del prestito dipende senz’altro dall’assenza dei requisiti di legalità. Non è un caso che la gestione del rating di legalità sia stata attribuita all’Autorità garante della concorrenza in quanto, nelle intenzioni del legislatore, questo strumento è un meccanismo che dovrebbe correggere attraverso i meccanismi premiali la distorsione competitiva di cui beneficia l’impresa illegale.   L'iniziativa, a oggi, come anche questo giornale ha segnalato, ha avuto un discreto successo e l’elenco di chi ha ottenuto il riconoscimento, scaricabile dal sito dell’Agcm http://www.agcm.it/rating-dilegalita/ elenco.html, include 467 imprese mentre centinaia di domande sono in corso di esame (si veda anche box sotto).  Se vogliamo che il successo dell’iniziativa cresca è, tuttavia, necessario rafforzare la componente premiale. Oltre ai benefici suddetti il rating di legalità può apportare altri due benefici invisibili alle imprese beneficiarie: una maggiore reputazione nei rapporti con altre aziende nella filiera produttiva che riduce i costi di transazione e una maggiore disponibilità a pagare dei cittadini attraverso il 'voto col portafoglio' (consumi e risparmi dei fondi d’investimento etici per imprese quotate). Tutto questo se il rating è opportunamente pubblicizzato. I benefici dal lato delle istituzioni possono inoltre crescere se si aggiungesse a quelli descritti – come ha proposto Vitalba Azzolini – la riduzione del premio assicurativo Inail. La somma di tutti questi potenziali benefici presenti e futuri può rendere la scelta di chiedere il rating ancora più conveniente. Nel caso in cui un’impresa sia già nel solco della legalità, i costi dell’attribuzione sono in fondo minimi e i vantaggi possono crescere se la sinergia tra istituzioni, cittadini e imprese virtuose viene rafforzata.
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