martedì 8 novembre 2011
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Qualcosa non torna nelle responsabilità, che qualche volta – allargando sguardi e riflessioni – possono apparire di uno, nessuno e centomila. Il sindaco di Genova, Marta Vincenzi, da giorni è nel mirino di attacchi e critiche (gran parte dei quali a ragione, come lei stessa ha implicitamente ammesso) per non aver chiuso venerdì scorso scuole, negozi e strade con quell’allarme rosso meteorologico che fin da mercoledì toccava la sua città. Però meno di quarantott’ore dopo, un po’ più a Nordovest e con un allarme meteo non troppo diverso, una folla di torinesi si era sistemata ai Murazzi ad "ammirare" da vicino la piena del Po. Sarebbe a dire che a quattro passi dalle sponde si erano accomodati giovani e anziani, ma anche famiglie con bambini, coppiette che scattavano foto e addirittura alcuni che avevano parcheggiato in doppia fila per scendere e girare video col cellulare. Eppure l’ovvio invito era stato anche bipartisan, oltre che perentorio, visto ch’era stato rivolto dal sindaco Piero Fassino (Pd) e dal governatore Roberto Cota (Lega): «Non vi avvicinate al fiume». Il sindaco in serata aveva raggiunto proprio i Murazzi – per un sopralluogo nell’area interdetta alla circolazione di mezzi e persone con un’ordinanza – e non era riuscito a trattenere lo sfogo: «Per prevenire disastri abbiamo predisposto un sistema di allerta che funziona bene, ma la gente devi darci una mano, non deve mettersi inutilmente in condizioni di pericolo». E ancora: «Ci si tenga lontano dai rischi, non bisogna andare a curiosare sui ponti. Oggi abbiamo passato la giornata a inseguire due in canoa sul Po. Non è possibile». Nel frattempo, ottocento chilometri più a sud, già da alcune ore serpeggiavano altri malumori, quelli nei confronti del prefetto di Napoli, Andrea De Martino, per il rinvio preventivo di una partita di calcio, il posticipo serale Napoli-Juventus – deciso insieme al sindaco Luigi De Magistris e ai vertici delle forze dell’ordine – a causa della quantità di pioggia che allagava il capoluogo campano. Dunque chi ha responsabilità? Uno, nessuno e centomila? E se certo, evidentemente, le prime sono istituzionali, subito dopo anche le nostre – di noi cittadini – non sono comunque e sempre responsabilità? Specie in un Paese dove un milione e seicentomila edifici e sei milioni di persone vivono in zone a rischio idrogeologico, non è preferibile un eccesso di prudenza al rischio della vita? Non conviene sopravvalutare un pericolo piuttosto che sottovalutarlo, specie se costa una giornata di mancato guadagno o una in meno di scuola? Scattano legittime proteste perché un mancato provvedimento ha provocato una tragedia, eppure laddove è stato preso lo si è anche immediatamente eluso. E se domenica sera un’onda impazzita di piena del Po avesse travolto in pochi istanti i Murazzi come le strade di Genova? Ma sì, davvero a volte sembriamo il Paese dell’«uno, nessuno e centomila». Le nostre tragedie degli ultimi sessant’anni (dal Vajont in giù) sono dovute all’ingordigia o all’incuria umana, che ha preso forma anche in certi allucinati edifici e quartieri e nella connivenza di certi amministratori locali che distribuiscono a mani basse condoni, sanatorie e facili varianti ai piani regolatori, o fingono di non accorgersi dell’abusivismo più inquietante. Non è però altrettanto vero che quegli stessi edifici e quartieri resterebbero vuoti se noi – cittadini comuni – non andassimo a viverci? Esattamente come quella folla in riva al Po, domenica sera...
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