Le ossa nella nunziatura, le illusioni e le speranze e quell'orribile chiacchiera
mercoledì 6 febbraio 2019

La notizia è stata appena sussurrata. Le ossa ritrovate nella portineria della Nunziatura apostolica di Roma, nel mese di ottobre dell’anno scorso, sono vecchie di quasi duemila anni e apparterrebbero a un uomo morto per cause naturali. In una città come Roma, ritrovamenti del genere non dovrebbero meravigliare più di tanto. Eppure attorno a quei resti, pochi mesi fa, si fece un gran parlare e soprattutto un grande insinuare.

Con imbarazzata sofferenza rivedemmo in televisione i cari familiari delle mai dimenticate Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Forse quei resti erano delle loro congiunte scomparse nei mesi di maggio e giugno del 1983? E come mai erano stati occultati nella sede del Nunzio? Il dottor Domenico Giani, capo della Gendarmeria vaticana, immediatamente, ritenne opportuno avvisare le autorità italiane. Un gesto di apprezzabile e responsabile collaborazione. Lavorando insieme, nella più assoluta trasparenza, ci s’incamminava alla ricerca della verità. Naturalmente occorreva estrarre il Dna, cosa non semplice che richiedeva tempo e professionalità. A noi veniva chiesto di avere solo un poco di pazienza. Ma la pazienza, si sa, in questi nostri tempi, è una delle virtù più trascurate e bistrattate. La notizia in se stessa non era granché appetibile, messa in correlazione alle indagini sulla scomparsa di Emanuela e Mirella lo sarebbe diventata, eccome.

Ed ecco diverse trasmissioni televisive ritornare su questi due drammi senza fine e coinvolgere, ancora una volta, i parenti delle ragazze scomparse 35 anni fa. Era il caso, ci chiedevamo? Non crediamo che lo fosse. Le ferite aperte dal dolore per parenti e amici scomparsi nel niente, col passare degli anni non si rimarginano, si accentuano. Non guariscono, si fanno purulenti. Restano, come dire, allo stato latente. Basta poco per farle ritornare a sanguinare. Le facce di Pietro e Natalina Orlandi, e quella di Maria Antonietta Gregori ci sono diventate tanto familiari da poterle riconoscere per strada. Le tristissime, drammatiche storie che hanno

segnato per sempre le loro vite le sentiamo nostre. Il loro dolore è il nostro dolore. Le loro speranze sono le nostre speranze. La speranza, però, non è illusione. La speranza ti tiene in vita, ti dà la forza di lottare, di sopportare, di continuare a cercare, chiedere, pretendere. La speranza ti mette le ali ai piedi, ti fa osare l’impossibile.

La speranza è una virtù forte, giovane, zeppa di entusiasmo. L’illusione, invece, è un fantasma, un’ ombra senza consistenza. T’inganna, ti fa male, ti butta a terra e poi scappa via. E al suo posto si presenta la delusione, qualcosa dal sapore amaro, che ti lascia senza forze, ti getta nello sconforto, nella disperazione. Nessuna persona ha il diritto di illudere chicchessia, soprattutto chi, da anni, lotta contro il tempo, il dolore, l’angoscia.

A nessuno è concesso di poterlo fare. Al contrario, tutti abbiamo il dovere di tenere accesa la fiamma della speranza in tutti. Rivedere i volti sempre più addolorati e stanchi di Pietro, Natalina, Maria Antonietta, coinvolti inutilmente in quest’ultima faccenda, ci ha fatto soffrire. Pochi indizi lasciavano credere che quei resti fossero delle loro amate sorelle.Villa Giorgina, la sede della Nunziatura, nel 1949, fu donata a papa Pio XII da un ricco signore ebreo per ringraziarlo dell’impegno da lui profuso a favore del suo popolo. Le ossa erano state ritrovate nella portineria della sede della Nunziatura, che immette direttamente sulla strada. C’era da indagare, da studiare, da interrogare. Soprattutto c’era da aspettare, lasciando in pace chi da 35 lunghi anni non ha mai smesso di soffrire e di cercare. Invece quanto inutile parlare. L’“orribile chiacchiera”, data in pasto al pubblico, ha preteso di essere ascoltata, di ricevere la cittadinanza onoraria, di poter essere confusa con la verità. E adesso che la verità è venuta alla luce ed è stata resa nota, anziché gridarla ai quattro venti, da tanti viene appena sussurrata. E questo non è un bene. Per nessuno.

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