Le formiche e il malato scarto dell’umanità
mercoledì 14 giugno 2017

Le formiche (a centinaia, in fila indiana o in ordine sparso), sul letto di una paziente in stato d’incoscienza dentro un ospedale italiano, ci fanno vergognare. La pulizia è un requisito indispensabile in tutti i luoghi dove ci stanno uomini, case, scuole, uffici, ma soprattutto in quelli dove ci stanno uomini malati. Perché i malati hanno bisogno di scacciare le malattie e di evitare nuovi contagi, nuove infezioni. Hanno bisogno di igiene. Se non c’è igiene in un ospedale, non ci sono le pre-condizioni per la guarigione. E questo ci umilia tutti. Anche se sappiamo, o dovremmo sapere, che in Italia abbiamo un servizio sanitario che in tanti altri Paesi se lo possono sognare. Finora non ho detto che si tratta di un ospedale del Sud, perché non vorrei che il lettore sentisse questo problema come limitato territorialmente, che è un modo per sentirlo come un problema degli altri: stavolta è Napoli, d’accordo, ma in passato si trattava di Torino, dove nel corridoio antistante la sala operatoria furon visti correre dei topi. E non è che i topi siano animali più lontani dalle malattie. Sui topi come portatori di malattie esiste una grande letteratura.

E la malattia portata dai topi era la peste. Nei luoghi di cura dove manca l’igiene e insetti o animali entrano nelle stanze degli ospiti, sentiamo un disapprezzamento (volevo dire disprezzo, ma mi sembra troppo pesante) verso gli ospiti stessi. Inimmaginabile verso gli ospiti di qualche albergo. In qualche ospedale succede. Specialmente con certi malati. Quali? Tra le visite più deprimenti in ospedale ne ricordo una che m’ha lasciato nel cervello una domanda a cui ho difficoltà a rispondere. Andavo a trovare un’amica, malata di cancro. L’ospedale era grande, perché i visitatori non si perdessero c’era una mappa nell’atrio. Cerco nella mappa la stanza dove devo andare, è lontanissima, pare un’appendice dell’edificio. Più grave è il malato, più in disparte viene sistemato. Nei Sette piani di Buzzati alla fine vien sistemato sulla terrazza del tetto, da dove un elicottero lo porta via senza che nessuno lo veda. Andando a cercare l’amica, sbircio nelle stanze che incontro.

Belline: lettini, armadietti, tavolini. Arrivo alla stanza dell’amica, malata terminale. È in un’ala in rifacimento, fuori ci sono attrezzi da muratore, scala, secchi di malta. Entro. L’amica è a letto, semiaddormentata. La stanza è vuota, c’è quel letto e basta. Accanto al letto c’è una cosa che m’incuriosisce: il cestino della carta straccia. Ma non è un cestino per la carta, è un cestino 'di carta': un giornale piegato a cassetta. I malati inguaribili eran confinati in un angolo dell’ospedale, quasi espulsi, con loro si lavorava senza risultato, 'senza soddisfazione', i medici ne parlavano malvolentieri. Arredando la stanza con un cestino di carta, mi è parso che esprimessero un concetto del tipo: 'Qui non vale la pena di sprecare un cestino vero'. La malata era semicosciente. Philippe Forest nel bellissimo libro 'Tutti i bambini tranne uno' racconta la morte della sua bambina, malata di cancro, e di quando andava a trovarla nelle cliniche, e sentiva che i medici ne parlavano malvolentieri: con lei le cure non erano efficaci, lei 'non dava soddisfazione'. Se la mia amica era semicosciente, la malata di Napoli sul letto pieno di formiche era incosciente. Degli incoscienti ci si occupa di meno…, mi correggo: ci si preoccupa di meno.

Perché 'non danno soddisfazione'. Non sono testimoni. Non ti sono grati, non ti sono ingrati. Dovresti occuparti di un incosciente come di un cosciente? Ah sì, anche di più. Dovresti riempire con la tua coscienza il vuoto della sua coscienza. Dovresti correre per primo dagli incoscienti. Se sono attaccati alle macchine, dovresti controllare per prime le loro macchine. Loro hanno più bisogni degli altri, e a loro dovresti dedicare più energie. Ma c’è un problema: le tue energie (come le tue attrezzature, i fondi che hai a disposizione, il personale di assistenza…) sono quel che sono, e tu devi dosarle. Non puoi darle tutte a tutti. Ad alcuni non potrai darle. La cultura, il tempo, vorrei dire la 'civiltà' in cui viviamo ce l’impone. Ad alcuni darai il massimo, altri li scarterai. Sono quelli che papa Francesco chiama 'gli scarti'. E un malato incosciente, abbandonato in un ospedale, col letto e il corpo pieni di formiche che camminano in fila indiana o in ordine sparso, ecco cos’è: uno scarto dell’umanità.

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