sabato 27 marzo 2010
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Caro direttore,sono un disoccupato di 47 anni. Vorrei un suo commento su questo annuncio di lavoro presente sul sito del mio comune nelle pagine "Informagiovani":«1 operaio addetto lavaggio auto, età 16/29 anni, gradita conoscenza lingua inglese sufficiente, gradita conoscenza lingua tedesca, luogo di lavoro Monte Argentario, apprendistato per cicli stagionali, 6 mesi, orario part time mese aprile, tempo pieno mesi successivi».

Francesco Rumbolà, Orbetello (Gr)

La sua lettera è sintetica al massimo, ma capisco che il suo sconforto e forse anche la sua rabbia, caro signor Francesco, sono traboccanti. Se anche per un lavoro semplice come quello di addetto a un lavaggio-auto si richiedono competenze rilevanti come la conoscenza (anche non perfetta) di lingue straniere e si esclude tassativamente chi ha più di 29 anni, che speranza può esserci per chi giovane non è più, è – suo malgrado – a spasso e ha bisogno di lavorare? Credo che per tantissimi lettori sia facile immedesimarsi nella sua situazione ed essere solidali con lei. E io, mi creda, lo sono. Tuttavia devo anche dire che quell’annuncio, che si riferisce a un contratto a termine di apprendistato, è formalmente corretto. Così come non si può certo contestare che esista e venga utilizzato uno strumento contrattuale – l’apprendistato, appunto – mirato a contrastare la troppo alta disoccupazione giovanile. Non le nascondo neanche che trovo ben comprensibile che nella sua bella Orbetello, che richiama specie nei mesi estivi anche tanti turisti stranieri, si cerchino persone in grado di cavarsela con altri idiomi. Detto questo, ci sono almeno due preoccupazioni da segnalare. La prima riguarda l’apprendistato, che dev’essere reale e, dunque, effettivamente preliminare a un pieno inserimento lavorativo dei giovani che lo svolgono. La seconda preoccupazione – e qui torno su un tema che i lettori di Avvenire conoscono bene – coincide con il senso della sua accorata denuncia: la manifesta inadeguatezza delle iniziative per il reimpiego dei disoccupati «non più giovani». È un fronte importante anche questo, anzi importantissimo. Tra i 40 e i 55 anni si hanno, in genere, le maggiori reponsabilità familiari e la perdita del lavoro da parte di un genitore dà origine a una catena di ripecussioni negative che accrescono il disagio sociale e impoveriscono e rendono più fragile la convivenza civile. La sua situazione, caro amico, purtroppo non è eccezionale. Continuano, infatti, a moltiplicarsi segnali di pesante allarme. Non si può far finta di non sentirli. E ormai dovrebbe essere chiaro a tutti – forze politiche e parti sociali – che non ci si può illudere che le cose si aggiustino da sole.
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