giovedì 1 dicembre 2011
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 L  tasse e le imposte sono colonne portanti del patto sociale di uno Stato. Quindi non sono mai faccende tecniche, ma sempre eminentemente e squisitamente politiche. Tra le prime riforme che il nuovo governo sta approntando, vi sono interventi di carattere fiscale e, quindi, importanti, non solo perché in un viaggio il primo (e l’ultimo passo) è quello più rilevante, ma anche perché sbagliare la riforma fiscale significa perdere il consenso della parte migliore del Paese. Innanzitutto, non si deve commettere l’errore di contrapporre scelte 'eque' a scelte 'efficienti'. Nelle democrazie post-moderne sono saltate molte dicotomie (economia reale/economia finanziaria, economia/politica), e tra queste anche quella che nel Novecento contrapponeva l’equità all’efficienza. In questi anni stiamo vedendo molto chiaramente che una scelta di politica economica è sempre per sua natura direttamente una scelta etica, perché se i cittadini non considerano equa una manovra economica pongono in atto comportamenti che in buona parte annullano l’efficacia di quell’intervento. Il bisogno di equità, e oggi lo mostrano anche gli studi di neuro-economia, è tra i più radicati e profondi nelle persone, che ci porta a fare scelte che spesso non seguono i dettami della razionalità economica, ma di quella espressiva e simbolica. E veniamo allora all’aumento dell’Iva e al dibattito sulla tassazione dei patrimoni.Aumentare l’Iva non è una scelta di mera efficienza economica al fine di ridurre il debito e il deficit. Un aumento dell’Iva (o delle tasse sui carburanti) è per sua natura sempre iniquo, perché va contro la principale caratteristica della giustizia distributiva, e cioè trattare in modo simile situazioni simili, e in modo diverso situazioni diverse. L’Iva sui consumi la pagano il milionario e la famiglia numerosa, il disoccupato e lo speculatore finanziario. Se si vuole aumentare l’Iva, dunque, sarebbe quantomeno necessario disegnare una riforma che preveda aliquote molto più alte (di quelle attuali) per i beni posizionali e demeritori: non si può e non si deve tassare il vino da tavola con la stessa aliquota dei superalcoolici. Insistere, poi, sulle imposte indirette è già di per sé una scelta etica, che, lo sappiamo dalla prassi e dalla teoria, tende ad aumentare l’evasione fiscale, quella evasione fiscale che, con l’altra mano, si vorrebbe combattere.La prima lotta all’evasione fiscale da parte di un governo, soprattutto se nuovo, è allearsi con la parte onesta del Paese, un’alleanza che passa proprio per il territorio dell’equità. Inoltre, non si possono aumentare l’Iva e le imposte indirette senza mettere mano a una riforma delle imposte sui patrimoni. Tassare oggi i patrimoni ha molti pregi. I principali pregi sono un riequilibrato rapporto tra la tassazione dei redditi e quella dei patrimoni, che anche in Italia è troppo squilibrata a svantaggio dei redditi: la diseguaglianza nei patrimoni è molto maggiore (più del doppio) della diseguaglianza nei redditi. Il 10% più ricco della popolazione detiene circa il 50% del valore totale della ricchezza, mentre per quanto riguarda i redditi (dichiarati!) la distribuzione è più egualitaria (il 20% più ricco detiene circa il 40% del totale dei redditi). Tassare i patrimoni tende allora a riequilibrare i punti di partenza dei cittadini, perché può produrre effetti seri nella riduzione della diseguaglianza (che un aumento dell’Iva invece aumenta). Effetti etici ma anche direttamente economici, perché un ceto medio impoverito non esprime quella domanda interna essenziale per rilanciare lo sviluppo economico. Infine, tassare i patrimoni non ha, almeno nel breve e medio periodo, l’effetto nefasto di ridurre l’impegno nella creazione del reddito, un danno che invece produce ogni ulteriore imposta sul reddito (da lavoro e di impresa).L’Italia riprenderà la sua corsa e il suo posto nel mondo solo se saremo capaci di riaccendere nelle persone l’entusiasmo, i desideri e la fame di futuro, variabili che i governi non possono controllare direttamente. Indirettamente, però, la politica può fare molto, proprio lavorando sulla percezione di equità delle leggi e di una riforma fiscale. Il Paese vuole uscire dalla crisi, non ama essere considerato il malato del mondo, di essere irriso come fannullone e irresponsabile dagli altri Stati. Il governo deve allora tener ben presente – come scriveva Giammaria Ortes, economista civile veneziano del Settecento – che «la ricchezza di un popolo è la sua gente» e creare quindi le pre­condizioni perché questa ricchezza produca tutti i suoi frutti.
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