sabato 12 giugno 2010
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Fra noi poveri cristiani, in quanti ci siamo domandati in questi mesi cosa accade sulla rotta di quella grande arca che è la Chiesa; che sta succedendo, se onde come muri si abbattono sul suo antico corpo. Colpi come schiaffi, che vengon su dai gorghi di un mare agitato. E certo, la grande arca di tempeste ne ha traversate tante; ma a noi, fedeli anonimi, questa di oggi, fatta di tradimento dei figli, ha suscitato più tristezza di ogni altra. Nell’anno dedicato al sacerdozio. Nell’anno che immaginavamo di festa.Benedetto XVI ieri ha parlato ai preti e a noi. Ha detto dell’"audacia di Dio"; della amorosa audacia di un Dio che agli uomini affida se stesso, pur ben sapendone la loro fragilità. È questo dunque un sacerdote: un vaso di creta colmato di uno straripante tesoro. La chiamata non garantisce che quell’uomo sarà migliore degli altri; non impedisce – immensa essendo la nostra libertà – nemmeno che possa precipitare nel peggiore dei mali. L’audacia di Dio è proprio nel prendere degli uomini come gli altri, e sceglierli, e mandarli: a perdonare, e a consacrare il pane in nome suo. Straordinaria bellezza di una scelta imprudente: questa, ha detto il Papa, «è la cosa veramente grande che si nasconde sotto il nome di sacerdozio».Ma, ha aggiunto, c’era da aspettarsi che al "nemico" la festa del sacerdozio non sarebbe piaciuta: a quel "nemico" che vorrebbe che la Chiesa, e Dio, fossero dimenticati. Ecco allora proprio in questo anno l’emergere di un male che atterrisce; quel venir su degli abissi, a minare la fiducia degli uomini. Il male che esplode e va a seminare sgomento: a insinuare dentro di noi, o a gridare sui giornali: vedete, in fondo, che di nessuno ci si può fidare. ( E da chi andremo allora, da chi manderemo i nostri figli?)E certo, ha detto il Papa, «se l’anno sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da questa vicenda». Ma si trattava invece del contrario: di "diventare grati per il dono di Dio, che si nasconde in vasi di creta". Non "bravi", i sacerdoti, per un merito proprio, o per una severa ascesi che plasmi con la volontà le virtù; ma grati del dono ricevuto. Grati di essere stati chiamati, con le loro povere mani. Perché Dio vuole che «in un piccolo punto della storia i preti condividano le preoccupazioni degli uomini», ha detto il Papa.E non l’abbiamo mai sentito così padre come oggi, quando ha riletto questo anno di tempesta. Quando ha spiegato l’ansia di ritrovare la bellezza della chiamata, e indicato l’ostilità di un "nemico" che amiamo dimenticare. Annunciando infine l’umiltà che dovrà venire da tutto questo - come distillata da tanto dolore. Il dolore dei figli traditi; e anche di quanti, improvvisamente lucidi, forse fronteggiano la disperazione.Ci ha parlato un padre. Ha osato dire che "anche l’uso del bastone può essere un servizio d’amore" - e ci son venute in mente certe parole della lettera ai cattolici di Irlanda, come manrovesci. (Coraggioso dire, nel tempo che detesta autorità e maestri, che amare è anche esercitare autorità). Ma soprattutto, ieri abbiamo ascoltato una speranza. Un padre ci ha detto verso dove è la rotta; e che le onde attorno, e tutto il nostro male, non prevarranno se apriremo la mano, di Cristo mendicanti.
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