sabato 27 giugno 2015
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​Caro direttore,
sulla manifestazione di San Giovanni, sulle polemiche successive e, ovviamente, nel merito dei temi in discussione, vogliamo proporre alcune considerazioni. Dell’iniziativa di San Giovanni non ci convince la rappresentazione (se non cercata, accettata volentieri dai promotori) di una contrapposizione etica su temi così delicati e nemmeno quello che appare come un tentativo di edificazione di nuovi steccati tra credenti e non credenti. Capiamo e condividiamo la promozione di iniziative per la famiglia, per chiedere al governo e alle istituzioni, concrete e impegnative politiche a favore della famiglia e a sostegno della natalità. E siamo convinti che molti dei partecipanti fossero lì con quello spirito. Ma le modalità, gli slogan, i messaggi scelti dai promotori, a nostro modo di vedere, hanno accresciuto il rischio, consapevolmente o meno, di animare una contrapposizione tutta ideologica, dura anche nelle parole, su temi come la famiglia, l’affettività, i figli, i diritti delle persone, questioni sulle quali occorrerebbero, al contrario, rispetto, attenzione, riflessione, capacità di ascolto, ricerca di sintesi condivise. Da molti anni si discute della introduzione di norme che regolino la condizione delle coppie omosessuali e promuovano i diritti delle persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale. Troppo tempo è passato senza che nelle istituzioni si arrivasse a una decisione; chi ha ostacolato gli approdi legislativi possibili ha finito per concorrere a esasperare toni e contenuti del dibattito, irrigidire ulteriormente le posizioni e rendere più complicata l’adozione di norme equilibrate. Per questo condividiamo profondamente l’impegno assunto da Matteo Renzi e dal Pd di imboccare rapidamente la strada parlamentare, individuando nel modello tedesco della civil partnership la risposta adeguata e unanimemente condivisa per il riconoscimento dei diritti civili alle coppie omosessuali. A questo lavoro abbiamo partecipato tutti con passione e convinzione e siamo certi che tutti ne sosterremo gli esiti in Parlamento. Non sappiamo dire bene, francamente, se esista invece nel contesto europeo una vera e propria “teoria gender” volta a superare la naturale distinzione di genere; se questa teoria fosse avanzata, noi saremmo per contrastarla senza esitazioni, attraverso una forte e aperta iniziativa culturale capace di costruire ponti di condivisione con tutte le culture che hanno al centro l’uomo e credono nel primato della persona.
Infine, due parole soltanto da semplici laici cattolici. Quando, qualificandoci come credenti, parliamo di persone che legittimamente chiedono alla comunità civile, allo Stato, di essere riconosciuti nella dimensione, che avvertono negata, di una piena cittadinanza come possiamo, quale che sia la nostra opinione, non partire da una parola forte di attenzione alla persona in quanto tale, alle sue speranze, ai suoi bisogni? Sono i nostri figli, i nostri fratelli, i nostri parenti, i nostri amici, persone che vivono con noi, fratelli in cammino con noi, se davvero crediamo a un comune destino dell’umanità. Dobbiamo dire, da convinti assertori della laicità della politica e lontani da ogni clericalismo, che abbiamo trovato questo respiro di comune umanità nelle parole di papa Francesco e nel testo, l'Instrumentum Laboris, messo a punto in vista del Sinodo dei vescovi del prossimo ottobre tenendo conto delle risposte di fedeli di tutto il mondo, che, dopo aver confermato, dal punto di vista della Chiesa, che le unioni omosessuali non sono assimilabili al matrimonio e alla famiglia, recita «si ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che nella società». Ci sono stati momenti in cui per sostenere con altri amici, su questi stessi temi, la impossibilità di definire, in democrazia, “valori non negoziabili” per dogma, e che la piena libertà di parola e di annuncio della Chiesa conviveva con il principio della laicità della politica e con la responsabilità ultima della coscienza individuale nel servizio alla comunità civile, abbiamo rischiato forti incomprensioni con una parte della gerarchia ecclesiastica. Oggi il vento nuovo che soffia nella Chiesa apre alla iniziativa dei laici credenti, sotto la loro piena e autonoma responsabilità, spazi significativi di dialogo, di incontro, di relazione con tutte le culture, con le crisi e le domande dell’uomo, certo anche un po’ smarrito, della modernità globalizzata. Questo lavoro nella società tocca ai laici, alla loro iniziativa, alla capacità di leggere i segni dei tempi e anche di mettersi in discussione. Non servono gli steccati e temiamo non bastino gli slogan.
Francesco Saverio Garofani e Antonello Giacomelli
Deputati del Pd
 
Apprezzo il modo di argomentare, l’idea alta della funzione politica, la preoccupazione di tenere aperti spazi di dialogo e, anche, la “volontà decidente” che animano l’onorevole Garofani e il sottosegretario Giacomelli. Ma non arrivo alle loro stesse conclusioni. E spero che le decisioni finali cui contribuiranno siano saggiamente coerenti con tutte le premesse da cui partono e la sensibilità cristiana che esprimono. Innanzitutto, da cronista, checché altri abbiano “mediatizzato”, posso e devo testimoniare ancora una volta che le persone – soprattutto, ma non solo, cattoliche – riunite sabato scorso a piazza San Giovanni non hanno scandito slogan “anti”, hanno incalzato a loro modo – modo civile e pacifico – un ceto politico e dirigente purtroppo incapace di occuparsi della famiglia e di vederla nella sua verità in un tempo in cui persino la verità sulla natura maschile e femminile dell’essere umano è stata messa in discussione (quelle visioni e intenzioni che vengono chiamate “ideologia gender”, ahinoi, anche in Europa non sono un’illusione, ma una pretesa sempre più assillante). Si è trattato di un fatto di popolo generato da un disagio e da preoccupazione crescenti che non vanno più sottovalutati, e che meritano attenzione, serena comprensione e seria risposta. Altri, in altra forma e con identica urgenza, e io sono tra questi, pongono gli stessi problemi.
Quanto alla prospettiva di introdurre anche in Italia una regolazione delle unioni tra persone dello stesso sesso secondo il modello tedesco, so bene qual è la posizione del Pd. Non la condivido. E ancor meno condivido la traduzione che ne è stata fatta nel ddl Cirinnà. Insisto per questo, da tempo, e non sono il solo, ad auspicare una esemplare “via italiana”, cioè calibrata normativa di tipo patrimoniale e non matrimoniale per questo tipo di relazioni. E penso che chi fa politica debba essere capace di pensieri lunghi, cioè di ragionare sulle conseguenze delle leggi a cui dà forma. Che unioni similmatrimoniali e veri e propri matrimoni gay abbinati in diverso modo al riconoscimento di un “diritto” ai figli e sui figli abbiano anche contribuito a incentivare fenomeni gravissimi (che riguardano, sia chiaro, anche coppie eterosessuali) di mercificazione del seme maschile e degli ovociti femminili è infatti una triste realtà. Che abbiano prodotto e fatto esplodere, attraverso le cosiddette gravidanze surrogate, una nuova e insopportabile forma di sfruttamento della donna ridotta a fattrice di figli per altri è di terribile evidenza. In mezza Europa, specialmente in Francia, anche e soprattutto nella sinistra, se ne stanno rendendo conto da qualche tempo e cominciano a fioccare appelli solenni per fermare la deriva. Tanta parte del mondo va in questa direzione? Anche ieri, da Washington ne è venuta la prova. Ma questo non consente di chiudere gli occhi, impone di aprirli di più. E io credo che i legislatori in coscienza, con (laica) responsabilità, possano e debbano pensarci prima, correggendo rischiose – queste sì – direzioni di marcia, evitando pesanti ambiguità, fermando processi di dilatazione e accettazione surrettizia per via giudiziaria di pratiche mercantili e persino schiaviste.
Chiudo sull’abbraccio della Chiesa all’umanità e sull’annuncio di Cristo che essa è inviata a portare, uscendo da sé e “facendosi prossimo” senza esclusioni. A questo siamo chiamati, non c’è dubbio. Portando la Parola, trovando le parole giuste per dare ragione della nostra speranza e comunque, soprattutto dove apparentemente non ci sono parole (in realtà ci sono sempre…), facendo parlare i gesti. Accoglienza, delicatezza e rispetto per ogni persona, in ogni momento della sua esistenza, qualunque condizione sperimenti e cammino faccia, non sono slogan. Sono vita. Fanno parte di quei valori sui quali non si deve far mercato in un mondo che di tutto tende a far mercato. Papa Francesco, oggi, ci dice che certi princìpi sono come le dita di una mano. Per me questa, oggi come ieri, è una irrinunciabile consapevolezza. I cristiani sono quelli delle mani che si incontrano, non quelli delle mani che allontanano e dei pugni che si chiudono. Per questo hanno sempre qualcosa da dire e da fare per amare umanità e mondo senza consegnarsi alle logiche «mondane».
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