domenica 11 marzo 2012
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In tanta distrazione internazionale per molte drammatiche vicende africane, ogni tanto s’accende una luce di speranza, oggi più facilmente alimentata dalla velocità dei mezzi di comunicazione digitale. Così sta accadendo in questi giorni per i delitti dei famigerati ribelli nordugandesi di Joseph Kony (di cui questo giornale ha riferito assiduamente fin dagli anni Ottanta). Si tratta di un pazzo visionario che, assieme ai suoi seguaci dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lra), semina morte e distruzione: prima nei territori settentrionali dell’Uganda, poi nel Sudan meridionale e attualmente nel settore nordorientale della Repubblica Democratica del Congo (con sconfinamenti anche nella vicina Repubblica Centrafricana). Fa dunque piacere sapere che oggi, grazie ai social network, i crimini perpetrati dal capo degli Olum ("erba" in lingua acholi, così vengono comunemente chiamati i suoi combattenti) sono venuti alla ribalta internazionale, suscitando sgomento e indignazione. Andando in Rete su Twitter, la parola "Kony" risulta una delle più citate dagli utenti, mentre il video "Kony 2012" di YouTube è stato visto in pochi giorni da oltre 70 milioni di persone. A scatenare l’attenzione del Web, il video appello per l’arresto di Kony, condannato per crimini contro l’umanità e rapimento di minori dalla Corte penale internazionale. La campagna lanciata da Invisible children, una Ong di San Diego, negli Stati Uniti, ha visto il sostegno anche della cantante Rihanna e dell’attore George Clooney che hanno "twittato" l’ashtag "Kony2012". Qualcuno potrebbe pensare, come peraltro è già sottolineato, che quello che per decenni non sono riusciti a fare la comunità internazionale e il sistema dei media "tradizionali", l’hanno ottenuto in meno di una settimana gli internauti della Rete, molti dei quali giovanissimi: una mobilitazione per invocare lo stop a un fanatico che ha la responsabilità di aver rapito oltre 30 mila bambini, costringendoli a compiere ogni genere di nefandezze. Chi scrive ha incontrato in un paio di circostanze quei "soldatini di piombo", nella savana dei distretti nord-ugandesi di Kitgum, Gulu e Pader. Difficile raccontare storie ed esperienze così lontane da quello che anche la peggior fantasia possa immaginare. La tecnica di reclutamento è agghiacciante: gli olum entrano nei villaggi – oggi soprattutto congolesi – uccidono gli adulti e sequestrano i bambini, per poi trasformarli, in un brevissimo lasso di tempo, in feroci combattenti avvezzi all’arma bianca e all’uso disinvolto del kalashnikov. Attraverso un rito iniziatico, fatto di suggestioni e di ipnosi collettiva, lo "Wiro ki moo", migliaia di giovani reclute hanno consentito per anni a Kony di prendere il controllo di vastissimi territori dell’Africa Centrale. Mentre scriviamo sono circa tremila le persone fuggite dalle loro abitazioni nella zona nordorientale dell’ex Zaire, a causa di numerosi attacchi messi a segno dallo Lra. Secondo fonti missionarie locali, dall’inizio dell’anno gli olum hanno messo a segno una ventina di attacchi, con un numero imprecisato tra morti, feriti e rapiti. Viene spontaneo chiedersi a questo punto come mai, ancora oggi, Kony e i suoi seguaci siano a piede libero. La risposta è una sola e ben nota nei circoli diplomatici. Manca la volontà politica. Da una parte, lo spettro di Kony continua ad aleggiare sugli abitanti del Nord Uganda; e ciò fa il gioco del presidente Yoweri Museveni, che considera le popolazioni locali, soprattutto acholi, ostili alla propria leadership. Dall’altra, Khartum mantiene gli olum quale 'esercito di riserva', come già avvenuto in passato, nel caso il processo di pacificazione nel Sud Sudan dovesse fallire. Cosa che per certi versi sta già avvenendo. In Congo, intanto, la povera gente continua a subire vessazioni d’ogni genere, dimenticata dal mondo. A meno che Twitter e YouTube riescano davvero a scuotere le coscienze su scala planetaria.
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