venerdì 6 marzo 2020
Una lettera del cardinale Re a tutti i porporati offre elementi di chiarezza sulla lunga trattativa con Pechino
Cattolici cinesi in preghiera

Cattolici cinesi in preghiera - Ansa

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La lettera sulla Cina scritta a tutti i cardinali dal cardinale Giovanni Battista Re, decano del Sacro Collegio, segna una svolta nella discussione sui rapporti con la Cina. Mostra un cambiamento nell’atteggiamento della Santa Sede, che ha dato prova di grande pazienza in questi anni davanti a polemiche accese e ad attacchi personali all’interno della Chiesa stessa. La pazienza non è venuta meno, ma si è voluto fare chiarezza su false informazioni e su indicazioni dissonanti che possono provocare disorientamento. L’obiettivo è superare la confusione delle parole e dei giudizi, per far prevalere la forza dei fatti e dei documenti e per rafforzare il cammino comune, in una situazione che resta difficile. Ne è scaturito un documento di indubbia importanza, sia per l’autorevolezza dell’autore sia per il contributo di verità che porta.

La lettera affronta la questione della continuità tra i diversi pontefici riguardo alla Cina. Il cardinal Re è molto chiaro: «C’è una profonda sintonia di pensiero e di azione degli ultimi tre Pontefici, i quali – nel rispetto della verità – hanno favorito il dialogo tra le due parti e non la contrapposizione». Che san Giovanni Paolo II abbia cercato l’Accordo con la Cina è noto da tempo. Nel 2001, in particolare, nel Messaggio per il quattrocentesimo anniversario dell’arrivo di Matteo Ricci a Pechino, scrisse che «la Santa Sede, a nome dell’intera Chiesa cattolica e – credo – a vantaggio di tutta l’umanità, auspica l’apertura di uno spazio di dialogo con le Autorità della Repubblica Popolare Cinese, in cui, superate le incomprensioni del passato, si possa lavorare insieme per il bene del Popolo cinese e per la pace nel mondo». Non erano parole di circostanza. Soprattutto negli ultimi anni del suo pontificato, Giovanni Paolo II soffrì molto perché non aveva potuto realizzare un accordo e – posso affermarlo per conoscenza personale – malgrado la gravità della sua malattia si adoperò fino agli ultimi giorni per raggiungerlo.

La sua volontà a riguardo, dunque, è chiara. Le polemiche dopo la lettera hanno cercato di spostare la discussione su un terreno improprio, quello dell’Ostpolitik. Giovanni Paolo II, si argomenta, era contro i compromessi con i regimi comunisti e quindi doveva essere per forza contrario a un accordo con Pechino. È ovviamente legittimo chiedersi come si conciliassero le sue opinioni sul comunismo con la ricerca di un’intesa con la Cina, ma va anzitutto ricordato che il suo atteggiamento verso l’Ostpolitik fu più complesso di come lo si rappresenta comunemente: papa Wojtyla ha scelto come suo segretario di Stato il cardinale Agostino Casaroli e non ne ha fermato l’azione verso i Paesi comunisti europei. È da dubitare inoltre che Giovanni Paolo II assimilasse tout court la situazione della Repubblica popolare cinese a quella dell’Europa orientale. Capace di una grande visione geopolitica, aveva ben presente l’esistenza di profonde differenze. In ogni caso, come si è già detto, è certo che il grande Papa polacco volesse un accordo con la Repubblica popolare cinese.

Cattolici cinesi in preghiera

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La lettera, inoltre, va ancora più in profondità affermando che tutti e tre gli ultimi Pontefici «hanno sostenuto e accompagnato la stesura dell’Accordo [sulla nomina dei vescovi] che, al momento attuale, è parso l’unico possibile ». Ciò riguarda in particolare la continuità tra Benedetto XVI e papa Francesco, su cui il cardinal Re introduce importanti elementi di chiarezza. L’affermazione che l’accordo firmato è lo stesso che papa Benedetto aveva, a suo tempo, rifiutato di firmare «non corrisponde a verità. Dopo aver preso conoscenza di persona dei documenti esistenti presso l’Archivio Corrente della Segreteria di Stato, sono in grado di assicurare [...] che papa Benedetto XVI aveva approvato il progetto di Accordo sulla nomina dei Vescovi in Cina, che soltanto nel 2018 è stato possibile firmare».

Dai documenti risulta dunque che Benedetto XVI non solo non si è rifiutato di firmare l’Accordo – in senso stretto non sarebbe spettato a lui firmarlo – ma lo ha approvato. alla lettera si desume inoltre che il documento approvato da Benedetto XVI – presumibilmente nel 2009 – è quello poi sottoscritto il 22 settembre 2018 da monsignor Camilleri e dal viceministro degli Esteri cinese Wang Chao. Fino alla lettera del cardinal Re, che Benedetto XVI avesse deciso di non approvare l’accordo poteva essere ipotizzato benché fosse poco plausibile. Più recentemente, però, lo si è sostenuto non come ipotesi da verificare, ma come verità certa. Di qui la necessità della smentita del cardinale decano, già prefetto della Congregazione per i Vescovi.

Non c’è stata, dunque, discontinuità tra Benedetto XVI e Francesco. Rispetto a Giovanni Paolo II, anzi, c’ è stata una continuità ancora più stretta: non solo entrambi hanno voluto un accordo con la Cina, ma entrambi hanno anche approvato il testo che poi è stato sottoscritto il 22 settembre 2018.

Dopo la lettera del cardinal Re, c’è chi ha avanzato nuovi sospetti, formulando l’interrogativo: se l’accordo era già pronto nel 2009, perché lo si è firmato solo nel 2018? Ma la risposta è semplice: perché ci sono stati obiezioni, opposizioni, resistenze non da parte di Benedetto XVI, ma di altri. Anche da parte proprio di quelli che oggi sollevano tale do- manda, gli stessi che continuano a opporsi a 'prescindere' all’Accordo.

Non tutto il male, però, viene per nuocere. Queste resistenze, infatti, hanno obbligato a riesaminare infinite volte e da tutti i punti di vista il testo dell’intesa stessa per arrivare alla conclusione – dopo un ventennio, precisa la lettera – che quello firmato nel 2018 è «al momento attuale [...] l’unico possibile». Ciò significa che l’Accordo non è stato sottoscritto a cuor leggero e senza aver tentato tutte le alternative. Si può pensare che venti anni siano stati troppi e che l’accordo doveva essere firmato prima. Che la difficile situazione dei cattolici cinesi richiedesse decisioni più rapide e interventi più tempestivi. Ma è certo che nessuno a Roma ha avuto fretta di 'svendere' la Chiesa in Cina. Si è giunti all’Accordo non per superficialità, stanchezza o interesse, ma con la certezza morale che si stava facendo la scelta migliore possibile nella situazione data.

L'Accordo, ricorda infatti la lettera, «prevede l’intervento dell’autorità del Papa nel processo di nomina dei Vescovi in Cina». Impossibile sottovalutare l’importanza di questa novità: dopo sessant’anni, non più vescovi nominati indipendentemente dal Papa e perciò illegittimi e fuori dalla comunione cattolica. Perciò, scrive, il cardinal decano, «l’espressione 'Chiesa indipendente' non può più essere interpretata in maniera assoluta, come 'separazione' dal Papa». C’è chi interpreta tale affermazione come una considerazione o una valutazione opinabili. In realtà, si tratta di una conseguenza diretta e oggettiva dell’«intervento dell’autorità del Papa» nella nomina dei vescovi.

Il cardinal Re tocca infine anche il delicato problema di chi contraddice le indicazioni date con gli 'Orientamenti Pastorali della Santa Sede circa la registrazione civile del Clero in Cina' del 28 giugno 2019, sottolineando che «sono stati pensati proprio per salvaguardare la fede in situazioni [...] complicate e difficili». Insomma, papa Francesco è vicino ai vescovi (ancora) clandestini e si prende cura di loro. L a lettera del cardinal Re rafforza il cammino intrapreso. La continuità fra i tre Pontefici che evidenzia non riguarda materia di fede e avrebbe potuto anche non esserci senza alcuno scandalo. Nessuno si stupisce, infatti, che tale continuità non ci sia con Pio XII il quale – a quanto sappiamo – dopo il 1951 non cercò l’accordo con le autorità cinesi. È infatti evidente che le circostanze storiche sono profondamente cambiate. Ma indubbiamente che due Papi, l’attuale e il suo immediato predecessore, si siano applicati in tempi differenti e con collaboratori diversi al problema Cina per giungere alla stessa decisione attribuisce a quest’ultima una particolare forza.

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