Laboratorio di domande
giovedì 18 gennaio 2024

L’arte della risposta presuppone l’arte della domanda. Hanno bisogno l’una dell’altra, altrimenti si ricade nell’alternativa diabolica tra risposta predeterminata e domanda insoddisfatta. Il risultato, in un caso come nell’altro, è l’inaridimento interiore. Se la risposta è già data in anticipo, non vale la pena di farsi domande. Se invece ogni domanda è contraddetta dalla successiva, significa che nessuna risposta ha valore in sé. Fine della ricerca, resa allo status quo, adeguamento alla tattica tristemente adottata dalle donne di Canterbury, che dopo la cacciata del loro arcivescovo, Tommaso Becket, hanno deciso di andare avanti così, «vivendo e quasi vivendo», come scrive T.S. Eliot in Assassinio nella cattedrale.

È l’omertà spicciola del don’t ask, don’t tell: non chiedere né dire nulla in più dello stretto necessario. Anzitutto non chiedere, perché nell’epoca dell’incertezza – la nostra – ogni domanda rischia di spalancare una nuova porta sull’inconoscibile, quindi meglio restarsene al sicuro, protetti da una prudente ignoranza. Accontentarsi del poco che ci si illude di sapere, non andare oltre le colonne d’Ercole del sentire comune. « Dov'è la saggezza che abbiamo perso nella conoscenza?», scriveva lo stesso Eliot in un altro suo dramma, La roccia. A quasi un secolo di distanza, a risultare bizzarro è il fatto che l’osservazione si presenti in forma interrogativa. Basta rinunciare alla saggezza e la conoscenza ( information, nell’originale inglese) risulta più che sufficiente. Questo, almeno, è quello che ci piacerebbe pensare.

Ma l’essere umano è animale curioso prima ancora che politico, per molti aspetti più propenso all’erratica intraprendenza del gatto che all’operosa industriosità dell’ape. Incontentabile per sua natura, continua a farsi domande e a cercare risposte, magari senza rendersi conto che entrambe le attività sono, appunto, forme d’arte e, in quanto tali, richiedono dedizione, applicazione, pazienza. Non fosse che per questo, siamo anche diversi dai gatti e più vicini alle api.

Prendiamo il meglio di ogni specie e lo adoperiamo a modo nostro, per come e quanto riusciamo. Nel migliore dei casi, salta fuori il capolavoro, ma ogni esperimento, se condotto con onestà, ci conferma che ne valeva la pena. Di farsi la domanda, esatto. E di cercare la risposta, perché no? Sono considerazioni di portata universale, che assumono una sfumatura di eccezionale urgenza una volta che vengano riferite alla domanda delle domande, quella che oggi viene solitamente definita “domanda di senso”.

Tutti dovremmo farcene carico, a qualsiasi età, ma non c’è dubbio che le persone più giovani siano le più incalzanti e le più incontentabili nel pretendere ragione di ciò che, di primo acchito, risulta incomprensibile. In particolare, la generazione che sta attualmente attraversando l’adolescenza è ancora più sensibile e irrequieta di quelle che l’hanno preceduta. L’isolamento reso necessario dalla pandemia, il ritorno prepotente e sanguinoso delle guerre, la preoccupazione suscitata dai cambiamenti climatici (“ecoansia” non sarà una parola elegantissima, ma il concetto resta ugualmente minaccioso) sono elementi di inquietudine collettiva che nei più giovani si sovrappongono ai turbamenti tipici dell’ingresso nell’età adulta. La famosa linea d’ombra è lì, ancora un passo e ci si troverà ad attraversarla. Come? Per quale motivo?

Per andare dove? E, più che altro, siamo sicuri che siano queste le domande da farsi? Non è un caso che con una serie di punti interrogativi appaiano verso il finale del messaggio che in questi giorni la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana ha rivolto alle studentesse e agli studenti del Paese, ricordandolo loro la possibilità di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica.

Le accuse di genericità e astrattezza che per molto tempo sono state imputate a quell’ora di lezione sono ormai fuori corso, rese obsolete non solo dalla piena professionalizzazione dei docenti, ma anche e specialmente dal ruolo che l’insegnamento della religione ha saputo assumere all’interno del sistema scolastico. Un laboratorio di domande profonde, alle quali, volendo, è dato di dare risposta in maniera adeguata e consapevole. Questa la fede può fare, in classe come in altro luogo dell’esistenza umana: accompagnare nella domanda, guidare verso la risposta. L’una ha bisogno dell’altra, ripetiamolo. Senza dimenticare che, se non si impara a fare le domande, è difficile che le riposte abbiano senso.

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