sabato 5 febbraio 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi era stato ampiamente teorizzato e descritto più di trent’anni fa da Fernand Braudel nel suo Civiltà materiale, economia e capitalismo, grande sintesi di quella École des Annales che ha illuminato un secolo di storiografia moderna superando le strettoie ideologiche e disciplinari del passato. Braudel avrebbe spiegato così senza sforzo il fenomeno - che definire drammatico è assai poco - che sta investendo le materie prime alimentari e parallelamente sta mettendo in moto un processo che arriva a lambire le rivolte del pane che stanno infiammando l’Africa del Nord.È di ieri l’allarme lanciato dal direttore generale della Fao, Jacques Diouf, secondo cui l’indice mondiale dei prezzi alimentari a gennaio ha segnato un rialzo del 3,4%, massimo storico dal 1990 e il settimo consecutivo dall’estate scorsa. Ma come siamo arrivati a questo punto? Stiamo bene attenti alla catena di cause e di effetti. La globalizzazione ha avvicinato produttori e consumatori avvantaggiando quei Paesi che promettono prezzi più bassi all’origine e consentendo ad aree lontane di raggiungere con i propri prodotti ogni angolo del mondo. Ma questo sistema integrato (qualcuno lo chiama "frigorifero globalizzato") è tanto comodo quanto fragile. E’ vero che nel nord del mondo possiamo mettere in tavola fragole neozelandesi anche d’inverno, bere vini cileni e sudafricani o approvvigionarci di soia per nutrire gli animali da allevamento, ma è altrettanto vero che il prezzo delle materie prime alimentari oscilla in conseguenza di svariati fattori, da quelli naturali (siccità, alluvioni, epidemie) a quelli politico-economici (petrolio, combustibili, trasporti) e anche - da oltre un decennio sempre di più - sotto la spinta della speculazione finanziaria.Un esempio su tutti: il 2010 è per concorde ammissione stato un anno di cattivi raccolti. Se viene a mancare la prevista quota di soia nordamericana, allevare animali costerà sensibilmente di più e di conseguenza carne e formaggio rincareranno. Per i Paesi ricchi si tratta di oscillazioni in qualche modo sopportabili, per quelli più poveri e con deficit alimentari netti, importare derrate a prezzo maggiorato ha un riflesso immediato e radicale sull’economia nazionale: l’80% del reddito di quei Paesi infatti è destinato ai consumi alimentari. Senza dimenticare che i rincari sono un dramma autentico anche per le classi disagiate, ovvero per i milioni di famiglie che stanno appese al crinale sottile che le separa dalla soglia di povertà anche nel ricco mondo occidentale. Nel già delicato equilibrio fra prezzi e produzione s’insinua da tempo la speculazione. Un tempo, denuncia Diouf, i futures erano utilizzati prevalentemente da produttori e consumatori, e non dai grandi attori finanziari che comprano solo per rivendere a prezzi più alti. Uno scenario, come si può capire, che si accompagna alla persistente riduzione degli aiuti pubblici all’agricoltura (dal 19% del 1980 al 5% attuale) e che promette – parola del direttore del Programma alimentare mondiale dell’Onu, Josette Sheeran – nuove sommosse sul tipo di quelle scoppiate in Algeria e Tunisia e negli ultimi giorni in Egitto. Rivolte originate dal rincaro del più basilare degli alimenti, il pane. Che per quasi un miliardo di persone è tuttora un bene irraggiungibile. Forse si fa fatica a crederlo, ma la polveriera della penuria alimentare, e soprattutto dei suoi sempre più visibili effetti a catena, ci riguarda tutti da vicino, ricchi e poveri. Basterebbe Alessandro Manzoni con il suo assalto ai forni a ricordarcelo: «Le strade e le piazze brulicavano d’uomini, che trasportati da una rabbia comune, predominati da un pensiero comune, conoscenti o estranei, si riunivano in crocchi, senza essersi dati l’intesa, quasi senza avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendio. Non mancava altro che un’occasione, una spinta, un avviamento qualunque, per ridurre le parole a fatti. Uscivano, sul far del giorno, dalle botteghe de’ fornai i garzoni che, con una gerla carica di pane, andavano a portarne alle solite case. Il primo comparire d’uno di que’ malcapitati ragazzi dov’era un crocchio di gente, fu come il cadere d’un salterello acceso in una polveriera».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: