sabato 28 maggio 2011
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Nonostante si sia fatto di tutto per occultarlo, la prima e vera posta in gioco della tornata amministrativa che si chiude domani e dopodomani (ma che avrà poi una coda siciliana) è il governo di città e province. Come organizzare il traffico nelle metropoli, come garantire la sicurezza dei cittadini, come sostenere la famiglia (e quale idea si ha di essa), come integrare gli stranieri che sono venuti a vivere e a lavorare con noi, come realizzare uno smaltimento efficace dei rifiuti (problema che a Napoli è diventato centrale), quale sarà il carico fiscale comunale, come si costruisce l’immagine del futuro delle città e la loro proiezione nel mondo (tema essenziale nella Milano che si prepara all’Esposizione universale ma anche, seppure in modo diverso, per Trieste e Cagliari): a queste domande in primo luogo devono rispondere i candidati e di come le hanno affrontate debbono rispondere gli amministratori uscenti e le forze politiche che li avevano proposti. I leader politici nazionali – capo del governo in prima linea, ma nessuno degli altri “big” s’è tirato indietro – hanno scelto di sovrapporre a queste tematiche, come se non fossero abbastanza rilevanti, un carico eccessivo di politicizzazione generale, che poi non ha aiutato il centrodestra a Milano e il Partito democratico a Napoli.Non è la prima volta che si attribuisce all’esito di consultazioni amministrative il senso improprio di un giudizio sul governo (o sull’opposizione). Massimo D’Alema legò la sorte del suo secondo breve governo all’esito delle regionali, ma almeno si trattava di tutte le Regioni a statuto ordinario e il premier, che non aveva avuto un mandato elettorale diretto, cercava di ottenerlo indirettamente dalla grande consultazione della primavera del 2000. Quell’esperienza, comunque, avrebbe dovuto scoraggiare dall’idea di ripeterla, ma evidentemente il desiderio di scavalcare con un successo elettorale problemi di coesione e di leadership che esistono, sia nella maggioranza sia nelle opposizioni, ha avuto la meglio.In realtà i risultati del primo turno hanno, invece, contribuito a rendere più evidenti i problemi che si volevano eludere e, comunque vadano, i ballottaggi non li risolveranno. Il segno complessivo delle elezioni sembra essere un indebolimento delle alleanze, con una ripresa di spinte identitarie della Lega nel centrodestra, che non hanno prodotto peraltro risultati elettorali positivi, e con una affermazione prevalente dei candidati giustizialisti e dell’estrema sinistra a danno del Partito democratico dall’altra parte della barricata, senza che di questa crisi tendenziale degli schieramenti maggiori abbia potuto beneficiare il cosiddetto terzo polo. Complessivamente il quadro politico esce più frammentato, il che non significa che sia alle porte un’inevitabile crisi, anche perché spesso in questi casi prevale l’istinto di sopravvivenza dei variamente “avvisati” e sconfitti. Comunque segnali e allarmi assai chiari sono venuti per tutti e sarebbe il caso che le forze politiche prestassero loro attenzione, invece di limitarsi a sottovalutare i propri insuccessi e a esagerare quelli dei rispettivi avversari.La maggioranza, se saprà resistere alle competizioni interne e alle tensioni “elettorali” che ha contribuito a suscitare, dovrà darsi obiettivi chiari e unitari per concludere costruttivamente la legislatura, invece di continuare a mettere troppa carne al fuoco… Le due diverse opposizioni parlamentari debbono uscire dai tatticismi e dalla declamazione polemica e critica nonché misurarsi con la realtà del Paese reale e delineare i rispettivi percorsi per l’alternativa. E tutti quanti dovrebbero impegnarsi in una convincente “ristrutturazione” dell’attuale bipolarismo che ha perso vigore e ha certamente smarrito i connotati del 2008. Ma soprattutto, tutti, dovrebbero cercare di non trasmettere le loro debolezze al Paese, specialmente in una fase ancora assai difficile sul piano sociale ed esposta a rischi internazionali tutt’altro che scongiurati.
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