venerdì 28 novembre 2014
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Tra i molti profondi e decisivi temi toccati dal Papa nel suo discorso al Parlamento Europeo c’è un’importante critica all’individualismo, definito vera e propria «malattia», che colpisce specialmente l’Europa. Come ha detto Francesco, oggi c’è una «tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali – sono tentato di dire individualistici –, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una 'monade' […], sempre più insensibile alle altre 'monadi' intorno a sé». Da ciò deriva che «al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società».  In effetti, è necessario discutere la nozione di persona e della sua libertà che sono soggiacenti a tale individualismo. Per esempio, secondo la frequente sentenza «la mia libertà finisce dove comincia la tua». Ora, da un lato questa concezione dice giustamente che bisogna evitare di ledere gli altri, di coartarli, di derubarli, ecc. Dall’altro, però, essa è insufficiente e non corrisponde alla vera natura dell’essere umano.  Infatti, come emerge, per esempio, nella filosofia di Tommaso d’Aquino e come è stato sottolineato specialmente dalla filosofia moderna – in particolare da Fichte in poi –, ogni essere umano è costitutivamente bisognoso di apprezzamento-riconoscimento, di conferma del proprio valore.  Esistono casi di bambini o ragazzi 'selvaggi', cioè cresciuti in condizioni subumane non relazionali, oppure persi dai genitori in foreste o giungle e di seguito cresciuti in mezzo ad animali o tramite autosostentamento, la cui crescita psicologica si è bloccata o è regredita, proprio a causa della mancanza di relazione con altri esseri umani. Quelli ritrovati dopo anni sono risultati psicologicamente più infantili di quando erano stati persi, ancorché fossero cresciuti dal punto di vista fisico e anagrafico. Come si vede anche considerando i bambini di strada o cresciuti in diversi orfanotrofi, un piccolo d’uomo che non è stato nutrito psicologicamente dall’amore di qualcuno fatica decisamente ad attivare le sue capacità psicologiche.  Per quanto riguarda poi l’adulto, anche se è cresciuto in un ambiente affettivamente normale, l’affetto-riconoscimento resta cruciale, pena patire spesso diversi problemi della personalità. Insomma, senza apprezzamento, stima o (meglio ancora) affetto, l’essere umano regredisce o deperisce: la sua identità di essere libero è attivata dal riconoscimento altrui. Ma questo vuol dire che la mia libertà ha bisogno della tua, la mia libertà comincia se c’è la tua e se la tua è benefica, la mia libertà deperisce se la tua non mi nutre del suo riconoscimento. E, parimenti, la mia libertà ha senso (anche) in vista della tua. Per tornare alle parole del Papa, davvero bisogna «guardare all’uomo non come a un assoluto, ma come a un essere relazionale», e «una delle malattie […] più diffuse oggi in Europa è la solitudine, propria di chi è privo di legami». A questa concezione relazionale dell’uomo il cristianesimo ha moltissimo da dire: perché lo considera sia in relazione costitutiva con un Dio Padre, sia fratello di tutti gli uomini perché tutti hanno appunto un Padre in comune, sia immagine di un Dio-Trinità relazionale, che è esso stesso comunione di Persone. Anche già solo per questo motivo, recidere le radici cristiane dell’Europa è esiziale.
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