sabato 13 dicembre 2014
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Per molti, l’8 novembre 2014 potrebbe rappresentare uno spartiacque per la legge e la coscienza dell’India sul fronte della sterilizzazione a fini di controllo demografico come il massacro di una giovane infermiera il 16 dicembre 2012 lo è stato su quello del contrasto alla violenza sessuale. Con una sola ma sostanziale differenza: che nel secondo caso la pressione dell’opinione pubblica indiana ha spinto il governo a un’azione almeno sulla carta dura e proattiva, ma nel primo sono le stesse autorità sotto accusa, in quanto responsabili di morti e sofferenze per milioni di donne ogni anno. Quel sabato di novembre, all’inizio di quella che in India è popolarmente conosciuta come 'stagione delle sterilizzazioni', un semestre in cui si concentrano i quasi cinque milioni di tubectomie annuali, qualcosa in pratiche che si vorrebbero collaudate e senza conseguenze è andato storto. 'Nella norma', è stato definito l’intervento di un solo medico con l’aiuto di un assistente su 83 donne nel corso di cinque ore, in strutture provvisorie costruite a fianco del piccolo ospedale di Pendati, periferia della città di Bilaspur, nello stato centrale di Chhattisgarh. La somministrazione di antidolorifici e antibiotici ha però avviato una catena di decessi nei quattro giorni successivi, una quindicina, e portato a una situazione critica per la sopravvivenza un’altra ventina di donne.  Tra ricerca di verità e di capri espiatori, davanti alla reazione decisa e in alcuni casi anche violenta della popolazione, sono stati arrestati i due responsabili – padre e figlio – di un’azienda farmaceutica locale, la Mahawar, nel cui impianto sarebbe stato miscelato ai componenti regolari dei medicinali anche topicida ritrovato in loco. Una fatalità, probabilmente, ma certamente non un’eccezione nel contesto di un Paese su scala continentale che continua a ignorare sovente le più elementari norme di sicurezza ben sapendo che nella maggior parte dei casi le vittime (o le loro famiglie) avranno poche possibilità di ottenere giustizia oltre un pugno di rupie e i responsabili per la stessa ragione difficilmente andranno incontro a serie conseguenze.   La sterilizzazione, indipendentemente da come motivata, è anzitutto un affare per promotori e organizzatori, vista come tale anche da molte vittime, sovente poco o male informate sulle pratiche e sulle conseguenze. Recentemente, il governo federale ha raddoppiato i premi da 9 a 18 euro per le donne e da 12,5 a 25 euro per gli uomini, oltre a riconoscere 2,5 euro a procacciatori e personale medico. Proprio la professione medica è coinvolta da tempo in ampi scandali e finora, a parte la diffusione di indicazioni di principio e sanzioni nei casi più gravi, i seguaci di Ippocrate restano al centro degli scandali che riguardano anche espianto e trapianto di organi, chirurgia estetica, aborto preventivo dei feti di sesso femminile, pratiche abortive legali e illegali. Nel caso di Pendati, centrale nella vicenda, sospeso dalla professione e ora in attesa di conoscere la sua sorte in base alle indagini, il dottor R. K. Gupta è comunque un personaggiosimbolo, in grado di operare fino a 300 pazienti in una giornata e di ricevere – com’è stato all’inizio dell’anno – un riconoscimento ufficiale per avere contribuito con decine di migliaia di tubectomie agli obiettivi demografici ufficiali.  Dal 1996, non ci sono più obiettivi ufficiali da raggiungere e la materia è regolata da linee-guida sugli interventi nei campi di sterilizzazione diffuse dal governo nel 2011. Tuttavia già nel 2012 Human Rights Watch aveva chiesto al governo di creare strutture di ascolto per le donne che lamentavano costrizione e scarsa qualità dei servizi nei centri di sterilizzazione.  Consigliava anche come prioritaria la preparazione di funzionari che potessero diffondere la conoscenza delle tecniche contraccettive presso i maschi indiani.  Con nessun risultato apparente. La pianificazione familiare ufficiale continua ad avere le donne al centro, giocando anche sulle resistenze alla sterilizzazione maschile, non accettata socialmente e che aveva portato negli anni Ottanta al fallimento delle politiche di contenimento demografico volute da Indira Gandhi e attuate dal figlio Sanjay, con pesanti conseguenze politiche.  «Quello che è successo in Chhattisgar è scioccante ma non sorprendente», segnala Sudheer Nair, medico e attivista dell’organizzazione non profit Family Planning Association of India. «Le donne sono operate di fretta nelle più orribili condizioni e rimandate a casa solo con alcuni analgesici. Non è previsto alcun controllo medico successivo», conferma il dottor Nair. Molte ammettono di essere spinte alla sterilizzazione da parenti che vogliono il denaro promesso o da operatori sanitari che aspirano a raggiungere i propri obiettivi informali. Secondo gli attivisti a difesa delle donne coinvolte nella pratica, gli stessi strumenti chirurgici sono spesso utilizzati per più interventi, in un contesto generale di inadeguatezza di mezzi e strutture. Di informazione, anche. «Le donne più povere, emarginate e ineducate sostengono il peso della situazione e non sempre scelgono coscientemente una soluzione radicale alla loro capacità procreativa – ricorda Sona Sharma, co-direttore della Population Foundation of India con base a Delhi –. Tante conseguenze letali e tante complicazioni sono dovute alla mancanza di semplici pratiche di prevenzione delle infezioni».  Per dati ufficiali, i decessi per interventi di sterilizzazione sono stati 1.434 nel decennio 20032012, con un culmine nel 2009 (247) e 336 nel periodo 2010-2013.  La Chiesa indiana è tutt’altro che assente dal dibattito sulla sterilizzazione. «Gli errori sistematici dietro questa tragedia devono essere mostrati e corretti. Non basterà punire i responsabili diretti di questa tragedia», dice l’arcivescovo di Visakhapatnam Prakash Mallavarapu, presidente della Commissione per la Salute della Conferenza episcopale cattolica dell’India. «Occorre interrogarsi sulle ragioni che stanno dietro queste iniziative. Sono per soddisfare necessità della popolazione o gli obiettivi di sterilizzazione del governo?», si chiede. Forse anche per aderire a richieste e impegni internazionali?  Non a caso, il dottor Pascoal Carvalho, medico di Mumbai e membro della Pontificia accademia per la vita, ricorda a Asia News che «nel 1952 l’India è diventata il primo Paese al mondo a lanciare in modo ufficiale un programma di pianificazione familiare, volto a ridurre la crescita della popolazione. La cosa ancora più tragica furono i governi occidentali, che incentivarono questa campagna facendo leva sugli aiuti». Una ragione in più per spingere la Chiesa indiana a condannare e cercare di ostacolare le politiche demografiche negli anni Settanta e Ottanta, e, oggi, ad additare, come fa monsignor Dominic Savio Fernandes, vescovo ausiliare di Mumbai, «l’apatia del governo e dei medici nei confronti di queste donne». «La Chiesa cattolica considera la sterilizzazione una grave violazione della legge morale e naturale», ricorda il pastore. Una situazione che chiama all’impegno i cattolici e le altre minoranze religiose, non escluse a loro volta dagli obiettivi demografici dei governi locali e di quello federale.
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