Siamo nel pieno dell’estate più difficile del secolo, quella dopo i mesi di un lockdown che speriamo non si ripeta più. La stanchezza che ci dobbiamo scrollare di dosso non è il normale stress di aver corso tanto, di aver lavorato troppo, di non aver dormito abbastanza, ma è un bisogno di pace, soprattutto interiore, che prenda le distanze dalle sirene delle autoambulanze che ogni quindici minuti solcavano le nostre strade lacerando i silenzi delle nostre città ricordandoci che un’altra persona stava male, che forse un altro come noi stava per morire.
Siamo logorati più che stanchi. Il riposo che cerchiamo è quello che deve gettare l’àncora nella contemplazione più che nella ricreazione fisica. E così, tra restrizioni nei viaggi, paure e mancanze di soldi, la domanda che si staglia sempre più necessaria è: cosa ci serve davvero durante il tempo estivo? Abbiamo bisogno di bellezza, senza dimenticarci però che la bellezza non è solo quella del Creato, ma soprattutto quella della vita, dei legami. I mesi in casa ci hanno bruscamente aperto gli occhi sulla verità per cui 'famiglia' non è solo dove mangiare o dormire, ma è dove vivere. La bellezza cui dobbiamo attingere e che dipende solo da noi e non dai nostri soldi o dalle circolari ministeriali, è quella della vita e dei legami.
In questi mesi tutti abbiamo incontrato nei modi più diversi tante persone che soffrivano e noi, essendo buoni, abbiamo avuto, come primo atteggiamento, quello di risolvere la causa della loro sofferenza, ma spesso abbiamo fallito. Se una persona soffre perché la madre è morta o l’ha abbandonata, noi non ci possiamo fare nulla. Anzi, possiamo fare una cosa sola: avere 'compassione', 'patire assieme'. È giusto (e necessario) ovviamente cercare di dare un tetto a chi non ce l’ha, o di dar da mangiare all’affamato, ma ciò di cui davvero ciascuno di noi ha un bisogno assoluto è di avere qualcuno che condivida con noi. Che stia assieme a noi. Che, in primo luogo, viva con noi lo stesso destino da poveri e di sofferenti: perché ci sono tanti tipi di povertà e di sofferenza.
Banalmente, vorrei suggerire queste vacanze, di provare a vivere assieme agli altri 'la penitenza' e l’allegria del camminare. Ho degli amici appassionati di escursioni ardite che mi hanno raccontato come quest’estate, la prima con un figlio, abbiano trascorso l’intera mattinata a fare 'il giretto' del lago di montagna dove si trovavano: il bimbo ha poco più di un anno e la bellezza del suo camminare traballante sembrava loro più emozionante che salire la parete attrezzata di un monte delle Dolomiti.
Percorriamo a piedi, se possiamo, le strade di chi ci sta accanto e di chi amiamo. Percorreremo così le strade dell’umanità che significa stare accanto all’uomo. E così rimedieremo al dolore che è la madre di tutti i dolori: la solitudine ovvero la principale ragione dell’angoscia dell’uomo. Joseph Ratzinger ne era convinto alla fine degli anni Sessanta del Novecento, quando nella sua 'Introduzione al cristianesimo', scriveva: «Nell’estrema preghiera di Gesù sulla Croce ('Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato' – Mc 15, 34), come del resto anche nella scena dell’orto degli ulivi, il nucleo più profondo della Passione non sembra essere qualche dolore fisico, bensì la radicale solitudine, il completo abbandono. In ciò viene in luce, in definitiva, semplicemente l’abissale solitudine dell’uomo in genere: dell’uomo che nel suo intimo è solo, tragicamente solo.
Pur camuffata, questa solitudine rimane la vera situazione dell’uomo, e denota al contempo la più stridente contraddizione con la natura stessa dell’uomo, che non può sussistere da solo, ma abbisogna invece di una vita con altri. La solitudine è perciò la ragione dell’angoscia, radicata nel fatto stesso che l’essere è gettato allo sbaraglio, eppure deve ugualmente esistere, anche trovandosi costretto ad affrontare l’impossibile » (Introduzione al cristianesimo, p. 242). Diamo casa agli altri, facciamoli sentire non più stranieri. E avremo fatto delle belle vacanze.