martedì 21 maggio 2013
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Nella vita dei popoli, come in quella dei singoli individui, trovarsi nella necessità di compiere scelte più o meno dirimenti è un evento abbastanza ricorrente. Ci sono però dei momenti in cui questo obbligo di optare tra due o più alternative si fa particolarmente stringente. Sono i grandi tornanti della storia personale e comunitaria, nei quali si percepisce che imboccare una certa strada, dirigersi in una determinata direzione, provocherà conseguenze pesanti e durevoli. Matura cioè la consapevolezza che, a quel punto, non sarà possibile fare retromarcia e neppure correggere il tiro senza pagare prezzi altissimi, forse insopportabili. Come dicevano i nostri antichi padri, electa una via, non datur recursus ad alteram.Questa profonda convinzione di approssimarci ormai a un tornante cruciale, a un «bivio» decisivo per la nostra società, attraversa la prolusione con la quale il cardinale presidente della Cei ha aperto ieri la 65ª assemblea generale dei vescovi. Con i toni pacati di sempre, ma con un senso di urgenza più incalzante che mai, Angelo Bagnasco ha richiamato l’assoluta e improrogabile necessità di «un risveglio», sia delle coscienze singole sia di quella collettiva, per portare l’Italia - ma in fondo l’intera Europa e quell’Occidente «dove il cristianesimo è fiorito» - fuori dalla deriva antropologica che li attanaglia, causa prima e scatenante della perdurante crisi etica ed economica.Partecipi ed entusiasti del cammino che la Chiesa universale ha intrapreso sotto la guida del nuovo Pontefice, i cattolici italiani, assieme agli uomini e alle donne di buona volontà, sono chiamati così a un doppio impegnativo compito: scuotere se stessi e il Paese, scrollarsi di dosso ogni residuo di autoreferenzialità e fare spazio al meglio delle risorse spirituali e operative. Che ci sono, numerose e spesso decisive nei loro ambiti, pur non amando «schiamazzi e ribalte». Che sono anzi una «moltitudine», tenuta oggi a spendere nuovamente tutta la capacità di incidere dimostrata già in altri momenti topici della storia patria. Le parole di Bagnasco si radicano e si legittimano, dunque, anzitutto nel cuore dei cristiani.Trovano eco in una loro convinta scelta interiore di "prendere il largo" piuttosto che "prendere il tè", le esortazioni pressanti del cardinale presidente alla classe politica e all’intero ceto dirigente nazionali, perché condividano questa irrinunciabile missione di ricostruzione del tessuto nazionale. Troppi sono ormai i guasti, troppe le sofferenze che le fasce più deboli della popolazione subiscono, troppo alti i prezzi che giovani e famiglie pagano alla scomparsa del bene comune come orizzonte di riferimento dell’azione pubblica. Di qui, da questa presa d’atto, possono e devono muovere le opzioni collocate ai diversi crocevia che ci si parano davanti. Al bivio del conformismo, del «così fan tutti, del proprio tornaconto, va imboccata - se non altro per convenienza, visto il punto a cui siamo arrivati - la via dell’interesse generale. Al bivio della «contrapposizione ostinata», specialmente in politica ma non solo, occorre intraprendere il cammino della responsabilità e della condivisione delle energie migliori tra parti finora sterilmente contrapposte, coscienti che nuovi gesti di rottura ispirati solo al puntiglio e al populismo «resteranno scritti nella storia». Al bivio più impellente e drammatico del disagio sociale costituito dalla mancanza di lavoro, c’è soltanto una strada da percorrere: quella di «interventi immediati ed efficaci» per ridare soprattutto dignità ai cittadini, rendendoli protagonisti della indispensabile ripresa produttiva. In fondo, nonostante sordità ostinate e cecità radicate, che l’Italia e l’intero Continente si stiano giocando il futuro è convinzione sempre più diffusa. Ma allora, ammonisce Bagnasco, è davvero il momento di una svolta che parta da «una sorta di bonifica culturale» e che torni a declinare «l’alfabeto dell’umano» in tutta la sua ricchezza. Il caposaldo universale resta la persona con la sua «sacralità», riconoscibile nella tutela di ogni istante della sua vita, nell’unicità dell’istituto familiare nel quale fiorisce e si sviluppa, nella facoltà di istruirsi e formarsi in piena libertà e senza costrizioni ideologiche. L’alternativa è restare sul sentiero impervio e autodistruttivo dell’individualismo, al cui termine si delinea il destino funesto della decadenza.
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