mercoledì 9 novembre 2011
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Da ieri sera il governo guidato da Silvio Berlusconi è virtualmente dimissionario perché «senza più maggioranza» e le grandi forze politiche sono più che mai in punto di reputazione. Ciascuna di esse, nessuna esclusa, è chiamata a dimostrare di essere in grado di contribuire a quella risposta lucida, coraggiosa e disinteressata all’incalzante emergenza economico-finanziaria che tutti si attendono, che il capo dello Stato ha invocato con fermezza e rispetto delle realtà e dei ruoli politici e istituzionali, che il mondo cattolico – attraverso le sue voci più autorevoli e partecipi – continua a chiedere con particolare intensità.Una risposta che certamente non coincide con quella della fuga verso urne anticipate. Una fuga inevitabilmente scoordinata e rabbiosa, che non servirebbe in alcun modo all’Italia e, ne siamo sempre più convinti, neppure a chi confidasse di trovare, in quelle urne, chissà quale rivincita o quale tesoro di voti. Siamo a un passaggio serio e grave, che può essere vissuto come l’ultimo atto del bipolarismo furioso o come il banco di prova di una nuova e più equilibrata fase della nostra democrazia. E proprio quest’ultima è, per così dire, la prima sillaba della risposta più utile.È una risposta che può condurre a valorizzare – oltre la logica degli arroccamenti e dei ribaltoni – le migliori risorse politiche e intellettuali disponibili per una straordinaria e concertata azione di governo. Che può consentire al Parlamento di condurre in porto grandi proposte di legge già all’esame delle Camere (dalla riduzione del numero dei parlamentari a nuove regole di voto per riavvicinare eletti ed elettori) e anche in iter avanzatissimo (le norme sul «fine vita»). Che può portare politici mai sentiti e dipinti come più distanti dal Paese reale a riannodare un solido filo di dialogo con gli italiani, coinvolgendoli – e non solo come pagatori di tasse, fruitori di servizi e percettori di pensione o indennità –  in un grande sforzo coordinato per ridare credibilità e lavoro all’Italia. Una risposta non per i «mercati», ma prima di tutto per noi stessi.
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