Il Nord insofferente: sotto il governo un fuoco acceso

Dalle infrastrutture al lavoro: ecco da cosa nasce l'insofferenza dei ceti produttivi
November 12, 2018
Il Nord insofferente: sotto il governo un fuoco acceso
I partecipanti alla manifestazione «Sì Tav» che si è tenuta sabato 10 novembre 2018 (Ansa)
È la sindrome dell’isolamento il vero incubo di una parte del Nord Italia, il tema unificante della protesta che accomuna il Piemonte alla Lombardia, che interroga il Veneto e insieme la Liguria. La manifestazione dei 30mila di sabato a Torino in favore della Tav dice quello che altri territori pensano e ancora non dicono: somiglia tanto, ad esempio, all’insofferenza del Nord Est che chiede di accelerare su Pedemontana e Alta Velocità, riassume il senso di tante piccole battaglie locali fatte dai Comuni di confine che non vogliono essere tagliati fuori dalle nuove traiettorie dello sviluppo. Per questo, la solitudine di questa parte del Paese ha un valore politico e insieme sociale, visto che ridefinisce i contorni della 'questione settentrionale' non più intorno alla vagheggiata autonomia dei referendum di un anno fa (a proposito, che fine hanno fatto?) ma dentro le nuove domande di ascolto e rappresentanza di comunità spaventate da questo primo scorcio di legislatura. Per la prima volta dall’inizio del cosiddetto 'esecutivo del cambiamento', infatti, si avvertono sinistri scricchiolii nell’azionariato di riferimento della maggioranza gialloverde. Non riguardano Roma e gli equilibri politici, ma la natura stessa di un’offerta di governo che larghi ceti produttivi dell’Italia settentrionale faticano ormai a capire. È un problema che nasce dalle chiusure alle istanze di sviluppo e modernizzazione dei Cinquestelle (in questo senso, la proposta del reddito di cittadinanza per intenderci dà al Nord lo stesso segnale negativo del 'no' alla Tav) e che neppure la Lega dà l’impressione di riuscire a risolvere. Per capire cosa sta accadendo occorre partire proprio dal Veneto, storica cassaforte di consensi per il Carroccio.

L'insofferenza del Veneto

«Non c’è rancore, c’è semmai insofferenza» ripete Daniele Marini, docente di Sociologia dei processi economici all’Università di Padova. L’insofferenza veneta è quella che arriva, giorno dopo giorno, negli studi dei commercialisti. Imprenditori e partite Iva che telefonano per fare la stessa domanda, raccontata sui giornali locali. «Mi spiegate, nel caso la situazione dovesse precipitare a causa dello spread, come posso fare per portare i miei capitali all’estero?». A preoccupare le aziende dei distretti che continuano a crescere «è la sensazione di abbandono, la mancanza di aiuti concreti» spiega Marini. Perché i capannoni aumentano di dimensioni, ma il personale che serve per riempirli latita, soprattutto qui. Così i direttori di risorse umane sono costretti a muovere verso Sud per reperire nuovi lavoratori, cosa mai successa prima: è accaduto ad esempio a un piccolo colosso di settore, la Friulintagli, che lavora per Ikea. Perché la manodopera non si trova più? «Stiamo perdendo la capacità di attrazione verso i nuovi laureati – racconta Arturo Lorenzoni, vicesindaco di Padova – e così, alla capacità di fare rete tra le aziende, non corrisponde un analogo impegno nel trattenere sul territorio i possibili cervelli. Un nostro ingegnere sa che, se accetta un’offerta in Germania o in Danimarca, prende tre volte tanto, con un costo della vita che è 'solo' il doppio. Secondo lei, cosa decide di fare?». «L’attrazione per un modello come la Baviera è molto forte, perché si tratta di un sistema in grado di stabilizzare e incoraggiare l’occupazione giovanile – gli fa eco Francesco Giacomin, segretario di Confartigianato Veneto –. La verità è che la tanto agognata autonomia non ci sarà mai almeno finché non verrà riconosciuta un’autonomia contrattuale. Vogliamo riconoscere il merito a chi lavora di più e meglio, facendo un passo in più rispetto alle attuali cornici contrattuali riconosciute».

L’infrastruttura federalista

Insieme al lavoro, sono le infrastrutture l’altra grande incompiuta del Nord Est, intrinsecamente legata al bisogno di fare impresa e di potersi muovere in spazi e tempi competitivi con la concorrenza, in primis la Lombardia. «Perché da Treviso a Padova in treno ci si mette di più ormai della Milano-Torino? – domanda Marini –. I flussi orizzontali sull’asse dei trasporti adesso sono importanti tanto quanto i collegamenti Nord-Sud, nelle nostre Regioni come nel resto d’Europa». L’Alta velocità è una priorità, così come la Pedemontana: in tutti e due i casi si tratta di opere su cui la Lega non vuole cedere campo agli alleati a Cinquestelle. «Su questi progetti si dovrà andare avanti a furor di popolo e Luca Zaia, che è molto sensibile alle istanze del ceto medio produttivo, lo sa benissimo». Non si può dunque fermare la locomotiva Nord Est, che già si sente zavorrata da questioni storiche irrisolte, non ultimo il rapporto travagliato con i vicini lombardi. «Da Umberto Bossi a Matteo Salvini, la Lega ha sempre parlato con leader non veneti e questo provoca da sempre forte insofferenza». Figuriamoci se adesso tutto questo si coniuga con campagne del tutto antitetiche ai cavalli di battaglia dell’autonomia e del federalismo, perché parte di un altro Dna. A dirlo è un sindacalista, Gianfranco Refosco, segretario regionale della Cisl, quando boccia «la filosofia stessa del reddito di cittadinanza: le persone non vanno sussidiate, ma formate». Il mercato del lavoro, nel Nord Est, è un ricettacolo di opportunità che devono incontrarsi, non un laboratorio dove sperimentare alchimie sociali che finiscono per lasciare chi non ha un posto inchiodato nella stessa posizione per anni. La sindrome dell’isolamento prende così le sembianze dell’immobilismo e dell’abbandono a se stesso di un territorio che invece vuole continuare a correre. Per questo, sabato, in tanti hanno guardato con attenzione quanto stava accadendo a Torino.

Torino, Milano e il civismo

La piazza dei trentamila, si è detto, è stata il segnale di una rottura inattesa in nome della modernizzazione. Tutto vero, ovviamente, basta andare a rileggersi i discorsi dei leader industriali locali da settembre a oggi, da Assolombarda fino alle territoriali di Torino e Genova. C’è dell’altro, però, ed è bene non sottovalutarlo. La richiesta di nuova rappresentanza delle aziende, che si sentono orfane come non mai di interlocutori politici, si è saldata con un inedito protagonismo politico. Per la prima volta è emersa infatti una domanda di civismo che va al di là dei partiti e che ad esempio il Pd, neppure ai tempi dell’apertura di credito offerta al governo Renzi, è mai riuscito realmente a intercettare perché da sempre considerato un partito espressione dello Stato centrale. Prendete Milano: la mobilitazione lanciata dal sindaco Beppe Sala e da personalità storiche del federalismo ambrosiano come Piero Bassetti punta a risvegliare la 'necessità del fare'. «Tav, Terzo valico, infrastrutture ferroviarie e viabilistiche, reti di telecomunicazione a banda larga e ultralarga sono l’apparato circolatorio, mentre merci, persone e informazioni sono il sangue della società post capitalistica – si legge nell’appello presentato dall’associazione 'Passaggio a Nord Ovest', che raccoglie rappresentanti trasversali di Comuni e Regioni in Lombardia e Piemonte –. Occuparsi dei collegamenti di Vado Ligure, Genova, Chiomonte, Rivalta, Domodossola è come verificare lo stato di salute delle nostre arterie. Se si chiudono, moriremo, morirà la nostra civiltà». È contro questa logica dell’abbandono che una parte importante del Nord sta provando a ribellarsi: se troverà gli anticorpi giusti, allora anche da Roma dovranno arrivare risposte.

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