venerdì 22 aprile 2011
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Caterina, cinque anni. Se ne è andata l’altro giorno, il primo della settimana di Pasqua. I suoi genitori l’avevano fortemente voluta, strappata a un destino che sembrava negarne l’esistenza e poi amata e seguita per questi cinque anni. Lunghi e brevi come un lampo. Era lunedì della settimana di Pasqua. Come se Caterina fosse arrivata proprio lì, alle soglie del Grande Teatro, della grande Scena che si sta per svolgere. Come se questa dolce bambina e con lei il coro muto dei nostri morti bellissimi, amatissimi, come se il coro dei colpiti dal dolore, si fossero affacciati qui, alla settimana della Passione e della Morte. E della Resurrezione. Come se Caterina fosse la prima, la avanguardia, insomma, che dal mare di dolore che è il mondo si fosse affacciata alla scena che stiamo tutti per vedere. Se vogliamo guardare. La Scena della passione, della morte.E della resurrezione.Caterina e quanti come lei. I suoi genitori. I dolenti del mondo. Noi tutti dolenti del mondo. Possiamo guardare questa scena. Arrivare con Caterina e con gli altri – tutti gli altri che ci vengono in mente e quelli che addirittura non sono in mente di nessuno – e affacciarci alla scena di questa ultima settimana di Gesù. Noi tutti possiamo arrivare qui senza nascondere il dolore e tutte le ferite, le amputazioni, ed esporci all’inizio di questa settimana. E vedere cosa succede. Sì: con tutto quel che ci è successo, vedere cosa succede. La Gran Scena.La più importante scena del mondo e della storia. Possiamo guardare. Dio sofferente e vincente la morte non è un discorso, ma un fatto che si offre ai nostri fatti.Caterina è andata avanti, come fanno i bambini, è svicolata tra le nostre gambe. È andata a vedere cosa succede a Gesù. Quella solitudine (come la nostra solitudine) quella pena, la trafittura, lo sperdimento. Come i nostri. E la ingiustizia del dolore. La innocenza. Possiamo vedere tutto quel che ci brucia dentro. Possiamo dalla balaustra, dalla gradinata o da qualsiasi punto del teatro ci troviamo, anche atterrati, anche prostrati sul pavimento possiamo vedere, se vogliamo, tutta la morte di Gesù. E il mistero della sua Resurrezione. Possiamo guardare, non importa se con gli occhi pieni di lacrime. Anche se non vediamo bene. Con i contorni sfocati. Perché cosa ce ne faremmo di un Padre nostro che sei nei cieli, se non viene anche in terra, nella terra dove è passata e piangiamo Caterina, se non venisse qui a impastare il suo pianto con la polvere, quella che ci secca la gola per l’orrore…Cosa ce ne faremmo di un Padre nostro che sei nei cieli se non sapesse cosa vuol dire soffrire come un padre e una madre, e che male fa la trafittura come di chiodi nelle mani, nel cuore… Invece Lui lo sa. La scena è evidente. Il racconto, la storia vera. Possiamo unire il nostro al suo dolore. È l’unica cosa da fare.L’unica sensata. Perché Lui sa cosa è soffrire, e del peggiore dolore. Lui come noi. Ma Lui è l’unico che sa risorgere. E portare nella vita tutto quello che sembrava conquistato dalla morte. Lui è il Signore. L’unico che ha fatto cantare al poeta: «E morte non avrà dominio».Possiamo guardare, inizia la settimana, la scena. Si ripete l’unica scena davvero interessante della storia. La grande contesa, la grande vittoria. Caterina si è affacciata alla settimana. Dietro di lei si vedono tutti i nostri dolori del mondo. Come se li portasse lei, e dicesse come fanno i bambini: venite, dai… Lei che ha lo sguardo più chiaro per vedere bene cosa succede. La scena della croce e della Resurrezione. La settimana che ha cambiato la storia, perché non toglie ma cambia anche i nostri dolori.
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