mercoledì 14 maggio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Dinanzi alla nuova, ennesima, strage di disperati in fuga dagli orrori e dalle desolazioni dell’Africa, si prova un senso di impotenza che aggrava il dolore e la pietà per queste vite inghiottite dal miraggio illusorio di un futuro migliore, o forse solo meno peggiore. Ma allo stesso tempo è ipocrita fingere di non percepire un sentimento, sempre più diffuso nel Paese, di incertezza e di sgomento per le dimensioni di un fenomeno – quello migratorio – che sembra crescere esponenzialmente. Sappiamo che a centinaia di migliaia sono pronti a sfidare il mare, i pericoli e il cinismo degli scafisti – questi mercanti vigliacchi di carne umana – pur di aggrapparsi ai lembi meridionali del continente europeo. E se guardiamo le tendenze demografiche sappiamo già che nei decenni a venire questi numeri diverranno ancora più inquietanti. La paura dell’Altro, un fenomeno atavico nell’uomo, viene esacerbata dai morsi di questa lunga crisi economica e – ancor più – dalla consapevolezza di essere stati lasciati sostanzialmente soli dall’Europa, nell’arginare questa marea crescente. Una consapevolezza che la tragedia di questi giorni fa virare in rabbia. E bene ha fatto il governo italiano a usare parole molto dure nei confronti della Commissione Europa che ieri, con una dichiarazione ineffabile e spudorata, ha ricordato che dovremmo prima comunicare le nostre esigenze, se vogliamo essere sostenuti nel nostro sforzo. Come se esse non fossero già note e ripetute continuamente da Roma. Come se la responsabilità fosse, al solito, di questi italiani pasticcioni e ritardatari. L’Italia invece sta facendo quanto può, con l’operazione Mare Nostrum, sia in tema di controlli degli sbarchi, sia in tema di soccorso ai migranti in difficoltà. Senza l’attivismo della nostra Marina, quante altre tragedie avremmo dovuto raccontare? Ma è evidente che non è più possibile continuare così, raccogliendo in mare chi è già partito dalle coste nordafricane. Non esistono ricette miracolose che possano eliminare il problema; ma è evidente che con un’Europa e una comunità internazionale meno egoiste e disinteressate, la gestione di questo fenomeno potrebbe essere più efficace. Si va dall’esigenza di una gestione veramente europea del diritto d’asilo, al rafforzamento del ruolo di Frontex, l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere dell’Unione, la cui sede dovrebbe essere spostata dalla Polonia all’Italia, dato che è qui ora il fulcro del problema migratorio. La partita vera, tuttavia, va giocata in Africa. Senza l’illusione di eliminare fame, povertà, guerre e violenza da quel continente, è pur vero che vi può e vi deve essere un’assistenza umanitaria più mirata al problema migratorio. Ad esempio, attivando l’Onu per cercare di creare dei corridoi umanitari regionali che permettano lo spostamento e il soccorso di persone dalle zone di guerra o piagate da carestie; e aumentando nel contempo la cooperazione di Europa e di Nato con i Paesi da cui partono i migranti. E ciò, oggi, vuol dire un maggiore impegno per sorreggere quello stato ormai disgregato e in preda all’anarchia che è la Libia del dopo-Gheddafi. Il nuovo ministro (molto) provvisorio dell’interno libico ha dichiarato che la Libia è pronta a favorire la partenza dei migranti se l’Europa non si impegnerà maggiormente. In realtà, il governo di Tripoli conta ormai così poco che poco può fare, vuoi in positivo vuoi in negativo. Ma questo implica che sono l’Unione Europea e l’Alleanza Atlantica a dover aumentare l’impegno per mettere i libici nella condizione di controllare meglio le proprie frontiere. È facile? Assolutamente no. È costoso? Decisamente sì. L’Italia si sta impegnando molto nel campo della sicurezza in Libia. È tempo che Bruxelles lo riconosca. E dato che è così attenta a calcolare i decimali dei nostri sforamenti e delle nostre (numerose) inadempienze, cominci a guardare con maggior onestà a quanto stiamo facendo. Anche per conto di troppi altri distratti stati membri.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: