giovedì 8 aprile 2010
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Da molte parti si è giustamente sottolineato che la fase che si è aperta dopo le elezioni regionali è la più adatta ad aprire finalmente il capitolo delle riforme istituzionali. Il calendario non prevede consultazioni di carattere generale, anche se non si può sottovalutare l’appuntamento con il rinnovo di giunte e consigli comunali di molte tra le più grandi città, da Milano a Napoli, da Torino a Bologna e a Reggio Calabria. L’altro aspetto rilevante è la stabilità del quadro politico governativo, sancita tanto dall’esito elettorale (che non ha replicato la punizione che invece gli elettori francesi avevano impartito al partito del presidente) quanto dalla ribadita intesa tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, nonché la tenuta, seppure in termini difensivi, delle diverse formazioni oggi all’opposizione.Giorgio Napolitano ha espresso, come non faceva da tempo, una visione ottimistica sulla nuova fase che potrebbe essere di rasserenamento del clima, rasserenamento al quale anche il Quirinale ha dato un altro contributo promulgando la legge sul legittimo impedimento. A questo punto spetta alla forze politiche di indirizzare il confronto, assumendosi pienamente le proprie responsabilità in corrispondenza con i ruoli di maggioranza e di minoranza (non necessariamente di opposizione sulle questioni istituzionali) assegnati dagli elettori, ma anche senza irrigidimenti in posizioni di presunta autosufficienza.È ragionevole che la maggioranza metta a punto il calendario e le proposte su cui raccoglie il consenso del Pdl e della Lega, purché questo non diventi un puro e semplice invito a "prendere o lasciare" che finirebbe col frustrare le altrui posizioni costruttive, quelle esplicite dell’Udc e quelle presenti (sebbene non in tutti in settori) anche nel Partito democratico. La questione su cui si è discusso, quella di decidere a chi spetti la "regia" dell’iniziativa riformatrice nella maggioranza, invece, sembra di lana caprina. Nessuno discute che per esempio spetti al guardasigilli l’iniziativa e il coordinamento della riforma giudiziaria, al ministro del Welfare quella della riforma del lavoro e degli ammortizzatori sociali, il che dovrebbe valere anche per Umberto Bossi, ministro per le riforme istituzionali, e per Roberto Calderoli, ministro per la semplificazione. D’altra parte è evidente che, in questa legislatura, la Lega ha sempre spinto per il dialogo con le opposizioni, ottenendo anche primi risultati durante l’iter che ha portato all’approvazione della legge per il federalismo fiscale.Molto dipenderà dall’atteggiamento del Pd, sul quale ha un peso considerevole il pressante invito del Quirinale per un dialogo finalmente utile, ma anche la pressione esercitata dall’Italia dei Valori che insiste, in chiave anti-berlusconiana, sul tasto della cosiddetta «emergenza democratica». Per ora, la posizione di Pierluigi Bersani è assai cauta e per così dire "minimalista", basata sulla delimitazione dei temi di riforma e sulla rivendicazione – allo stato puramente propagandistica, visti i rapporti parlamentari – di un’anticipazione della riforma elettorale. È possibile però che, quando la discussione entrerà nel vivo, le posizioni del Pd si avvicinino a quelle dell’Unione di centro, che è da sempre favorevole a un confronto di merito senza pregiudiziali. Specialmente se si placheranno le polemiche interne postelettorali, che limitano la possibilità di manovra della segreteria, il Pd potrà esercitare il ruolo che compete alla maggiore formazione di minoranza, rendendo così fisiologico un confronto tra le parti che finora ha patito di esasperazioni patologiche.
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