sabato 16 luglio 2022
Come la Francia sta cercando di dare risposta al malessere che si evidenzia con l’astensione al voto
La partecipazione si risveglia «riavvicinando» le periferie

Ansa

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Come la Francia sta cercando di dare risposta al malessere che si evidenzia con l’astensione al voto Oltralpe, c’è un dipinto che più d’ogni altro viene riprodotto e citato per richiamare i capisaldi ideali della Francia. Si tratta di La Liberté guidant le Peuple, di Eugène Delacroix, realizzato nel 1830 e conservato al Louvre, nella stessa ala della Gioconda di Leonardo. Non solo nelle ore di storia ed educazione civica, ogni liceale transalpino si è ritrovato decine di volte davanti a quella marcia del popolo in sommossa romanticamente idealizzato dietro al tricolore simbolo di libertà e democrazia.


Dai collegamenti ferroviari agli interventi degli artisti e alle mostre fotografiche, il cantiere del 'Grand Paris' per integrare e attivare politicamente chi abita nelle banlieue

Eppure, in questo 2022 segnato da un travagliatissimo avvio del secondo mandato presidenziale di Emmanuel Macron, il crollo di partecipazione alle ultime elezioni legislative ha messo definitivamente il Paese davanti a crude domande: dov’è finito il popolo? E crede ancora a quel tricolore sventolato dalla République? Il 19 giugno, in effetti, nell’atto finale per eleggere i deputati del popolo sovrano, hanno espresso un voto valido solo 20,74 milioni di francesi, in un Paese che conta 50,26 milioni d’adulti. Anche includendo le schede bianche (1,24 milioni) e quelle nulle (477mi-la), si giunge a 22,46 milioni: una disfatta di rappresentatività e uno smacco per la Francia fiera d’aver promosso storicamente nel Vecchio Continente il vento del modello repubblicano. Da settimane, le opposizioni non solo estreme di destra e sinistra accusano nuovamente il capo dell’Eliseo d’aver esercitato il potere con eccessiva verticalità, allargando il fossato fra politica e cittadini. Ma come sottolineano tanti studiosi, l’astensionismo e in generale la disaffezione dei francesi verso le istituzioni continuano ad approfondirsi da almeno un ventennio, sullo sfondo, certo, di un’Europa spesso sofferente.


Anche nella scelta dei nuovi ministri si colgono i segnali di un cambiamento: meno super laureati e più persone con esperienza diretta dei problemi e dei territori


Come curare dunque questo male sempre più radicato? E al di là degli slogan, come tornare a un’autentica ‘democrazia partecipativa’, magari ispirandosi un po’ alle soluzioni note nel mondo anglosassone come whole society approach? Le piste evocate sono tante, ma quelle finora praticate riguardano soprattutto il tentativo di ricucire le lacerazioni laddove paiono più profonde, come nei quartieri dormitorio di periferia mal collegati con i centri urbani. In questo senso, un 'laboratorio' ricco di fermenti, oltre che di con- traddizioni, è il megacantiere urbanistico denominato ' Grand Paris' (Grande Parigi): un ambizioso piano d’infrastrutture per accorciare le distanze all’interno di una conurbazione che conta oltre 12 milioni d’abitanti.

Concepito anche tenendo conto delle Olimpiadi del 2024 e divenuto pure un intreccio di scontri politici locali, il piano ' Grand Paris' resta nonostante tutto una speranza per milioni d’abitanti così vicini (geograficamente) e così lontani (logisticamente e socio-economicamente) dalla luccicante capitale. In fondo, la questione potrebbe essere vista pure così: nel 2005, l’ondata di moti giovanili nelle banlieue di tutto il Paese si era innan- zitutto propagata dalla cintura Nord parigina, tanto multietnica quanto segnata da sacche profonde di degrado, anche in termini di qualità degli alloggi. Si trattò di una crisi che ancora molti sociologi interpretano come un 'grido d’aiuto' da parte di una gioventù in rivolta contro le profonde disuguaglianze sociali e i fossati territoriali. Da allora, dunque, si cerca d’operare dove la piaga è più visibile.

In questo senso, il progetto ' Grand Paris' ha cercato d’integrare anche altri aspetti, accanto ai 200 km di binari e alle 68 stazioni supplementari che promettono di rompere tante situazioni d’isolamento. Fra queste dimensioni, pure quella simbolica dello sguardo porta- to sulle periferie povere dove, non a caso, l’astensionismo raggiunge livelli stratosferici. Per far ciò, sono scesi in campo anche gli artisti, chiamati ad interpretare con la propria sensibilità il malcontento e le aspirazioni profonde dei quartieri più 'staccati' dalle istituzioni della République. Il vasto progetto fotografico Regards du Grand Paris (Sguardi del Grand Paris) è un esempio significativo di questi tentativi all’insegna di una ritrovata orizzontalità. Per 10 anni (2016- 2026), decine di fotografi sono invitati a ritrarre la gente di banlieue e i loro quartieri, in modo che gli scatti più emblematici possano divenire un patrimonio condiviso da tutti gli abitanti della regione parigina. Da quest’estate, le opere, talora di grande forza espressiva, sono già al centro di eventi e mostre, al chiuso come en plein air.


La disaffezione dei francesi verso le istituzioni continua ad approfondirsi. Alle legislative ha votato meno della metà degli elettori

L'esposizione più significativa è stata appena inaugurata a Pantin (banlieue Nord-Est), ai Magasins Généraux, vasto centro culturale ricavato fra le mura di un ex deposito. Ma come farfalle, quelle foto svolazzano pure fino al cuore di Parigi, ad esempio al Museo Carnavalet o sulla facciata del celebre e colorato Centre Pompidou, oltre che su decine di palizzate attorno ai cantieri dei nuovi binari e stazioni attorno alla capitale. Gli scatti ritraggono scene di vita quotidiana, di ordinario degrado, ma anche di speranza: famiglie che si divertono in piccoli specchi d’acqua periferici, gente che raccoglie verdura o bacche sul bordo delle strade, bambini che giocano accanto a cumuli di rifiuti, stazioni ferroviarie tanto sovraccariche di videocamere e altri dispositivi di sicurezza da risultare nottetempo spettrali e terrificanti. Nel complesso, un modo per tutti per specchiarsi nella realtà d’una conurbazione satura d’energia, ma pure d’ingiustizie. Una conurbazione che parla pure di un intero Paese minato da discrepanze sem- pre più insopportabili, ad esempio nella qualità degli alloggi o del sistema scolastico. Proprio quelle denunciate a gran voce durante la crisi dei 'gilet gialli', oltre che in rapporti come quelli annuali della Fondazione Abbé Pierre.

Additato nella scorsa legislatura come un presidente jupitérien, cioè irraggiungibile come Zeus sull’Olimpo, Macron non potrà più contare, in questo secondo mandato, su una maggioranza assoluta di deputati. Al contrario, si ritrova accerchiato da 3 gruppi d’opposizione corposi e temibili: ‘insubordinati’ mélenchonisti (gauche radicale), neogollisti (centrodestra) e lepenisti (ultradestra xenofoba). Le distanze si accorciano, dunque, con rischi politici quali l’immobilismo. Ma riflettendo a partire dal senso d’iniziative come Regards du Grand Paris, si può pure pensare che, nella Francia odierna, accorciare le distanze fosse un po’ inevitabile anche e soprattutto ai vertici. Perché troppo sfocato e relegato ai margini appariva quel 'popolo' che formalmente viene ancora celebrato nei manuali come motore del destino nazionale.

Del resto, Macron cerca già di mostrare d’aver capito la lezione, come indicano in particolare certi nomi imprevisti appena entrati nel governo Borne 2. Il nuovo ministro delle Politiche urbane? Non l’ennesimo 'ultralaureato' sfornato da un’alta fucina tecnocratica, ma Olivier Klein, per oltre un decennio sindaco di Clichy- sous-Bois, proprio il comune poverissimo, a nord di Parigi, simbolo dei roghi giovanili del 2005. Come nuovo titolare delle Solidarietà (handicap, dipendenza degli anziani), invece, Jean-Christophe Combe, il direttore nazionale della Croce Rossa. Alla Sanità, poi, François Braun, un medico che ha fatto carriera nelle corsie di pronto soccorso del Nord-Est francese, il quadrante nazionale più in affanno. Insomma, uomini con le suole sporche accolti nel palazzo. Per accorciare le distanze ed evitare in extremis che la democrazia si restringa fino a ridursi solo alla riproduzione d’un quadro ottocentesco appeso alle pareti.


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