giovedì 15 maggio 2025
Proviamo a rileggere gli aggettivi "disarmata" e "disarmante", con cui Papa Leone XIV ha definito l'atteggiamento di chi vuole fermare le guerre È la logica di Gesù, lontana da quella dei potenti
La pace fragile del mondo è fortissima per il Vangelo
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Il saio di san Francesco, ben visibile nella teca custodita nel santuario de La Verna, consente di immaginare in modo realistico quell’uomo che lo indossava per le vie di Assisi e del mondo. E permette anche di intuire le reazioni di chi lo incontrava, ben diverse dall’odierno osanna generale: forse simili a quelle che papa Leone XIV ha indicato come alcune del mondo contemporaneo davanti alla testimonianza cristiana autentica, come quella del Poverello d’Assisi. «Gesù: una persona totalmente priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso, che può suscitare meraviglia con il suo modo insolito di parlare e di agire».

Guardando quel saio, mi spingerei a dire che quell’uomo poteva apparire ridicolo. Del resto, papa Leone lo afferma con chiarezza: «La fede cristiana è spesso percepita come qualcosa di assurdo, destinata a persone deboli o poco intelligenti, in un mondo che preferisce altre sicurezze – tecnologia, denaro, successo, potere, piacere»... le armi. Eppure, il Papa insiste: Gesù è «un modello di umanità, di santità che tutti possiamo imitare». Allora collocare questa imitazione possibile nelle quattro parole che il Pontefice ha scelto come sigillo iniziale del suo pontificato – pace disarmata, pace disarmante – significa prenderle sul serio. Non come uno slogan poetico o un invito spiritualizzante, ma come un asse radicale, esigente, che interpella sia il credente sia ogni persona e ogni struttura di potere.
La pace disarmata è una provocazione per il mondo. È la pace che rinuncia, per principio, alla logica della minaccia e del possesso. Non si fonda su deterrenti, muri, alleanze belliche o ritorsioni economiche. È una pace che non si impone ma si espone. Fragile secondo i criteri dominanti, fortissima secondo quelli del Vangelo. Può apparire ingenua, se non addirittura ridicola, come un’illusione pacifista fuori tempo massimo; ma custodisce la lucidità profonda di chi crede che “solo la verità rende liberi” e che solo una giustizia vissuta fino in fondo può aprire vie tra le nazioni e i cuori. È proprio questa nudità dei mezzi che genera una forza paradossale: la pace disarmante. Non nel senso di chi vince o umilia l’altro, ma nel senso di chi lo spiazza. Il disarmo non è solo fisico ma anche simbolico e relazionale: è la parola che non accusa, lo sguardo che non giudica, il gesto che non divide. È la scelta di chi perdona, di chi abbraccia l’ultimo, di chi dona il pane al nemico e lo libera dall’inganno restituendolo alla sua umanità. Disarmante perché lascia senza parole, suscita stupore, apre domande. Disarmante perché non si difende ma si affida – come Francesco, come Gesù. E come milioni di uomini e donne che nel silenzio della loro quotidianità rifiutano di armarsi e alimentare l’odio in tutte le sue forme.

Il nuovo Papa, dunque, non ci ha consegnato una formula spirituale da recitare ma un programma di vita. Un criterio con cui leggere la realtà, decidere, prendere posizione. A livello personale, ma anche sociale, economico e politico. È una direzione da scegliere. Non un’utopia, ma una profezia adulta, in attesa di essere praticata. Il tono di Papa Leone non consente esitazioni: «Perché questa pace si diffonda, io impiegherò ogni sforzo», ha riaffermato ieri nell’incontro con le Chiese Orientali. Chi avrà il coraggio di mettere in atto tutto questo? Chi lo farà entrerà tra i «grandi della storia», si ergerà tra quelli a cui il Pontefice si è rivolto fin dai primi istanti del suo ministero fino a ieri: «Perché passerà alla storia chi seminerà pace, non chi mieterà vittime». Solo così sarà pastore, non dominatore. Si comprende allora perché, proponendo questa pace, il Papa ha insistito: «È essenziale ripetere: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”». Non per trincerarsi o escludere, ma per non diluire. Per non accettare un dialogo svuotato, addomesticato, reso innocuo. Una fede che si fa testimonianza mite ma integra, che si presenta povera e disarmata, e proprio per questo segno disarmante di contraddizione.

Madeleine Delbrêl scriveva che l’esistenza cristiana «vive al crocicchio tra la santità e il ridicolo». È proprio lì che si pianta l’intera proposta cristiana. Nell’intimo della coscienza, da san Francesco a ciascuno di noi. La storia insegna che i cambi di rotta – verso il bene e verso la pace –, anche quando improvvisi, hanno spesso rischiato il ridicolo, ma si sono rivelati irruzioni di luce, aperture di speranza. Agire in tal senso significa aprirsi all’inimmaginabile. Papa Leone, sempre ieri rivolgendosi ai pastori delle Chiese Orientali, ha detto che «questa pace (...) è riconciliazione, perdono, coraggio di voltare pagina e ricominciare».
E per uscire dalle guerre – quelle dei popoli e quelle dei cuori – non dobbiamo forse ricominciare, aprendoci proprio all’inimmaginabile? Un aggettivo che non dovrebbe suonarci poi così estraneo, oggi! I primi giorni di un pontificato sono una soglia, un tempo straordinario di grazia, per ascoltare una voce nuova e, ispirati da essa, accedere all’inedito.
La pace disarmata inizia dai «nemici che si incontrano e si guardano negli occhi» e propone ciò che chiede. Una pace disarmante, perché capace di frantumare persino la pietra e restituirci a ciò che siamo: «Esseri umani: non cattivi da odiare, ma persone con cui parlare». Forse è proprio questo il primo gesto politico del Vangelo: credere che sia davvero possibile.


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