giovedì 24 marzo 2016
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M ilano, marzo. Io mi immagino quella notte come dentro una cappa di aria morta: non un filo di vento, sotto a un cielo senza stelle. E mi immagino gli uomini a Gerusalemme che, dentro a quella coltre buia, dormivano: impietriti, in un sonno senza sogni. Lei sola vegliava: trafitta dallo strazio, tanto da non poter trovare pace. Che notte lunga, che notte infinita quella di Maddalena, sfinita di pianto. Aveva perso insieme un padre, un fratello e un figlio: tutto era Cristo per lei, la vita intera. Per questo Maddalena si alzò all’alba, quel giorno. Un’alba strana, muta, senza nemmeno il canto di un uccello. Deserti i vicoli di Gerusalemme, ancora. Solo i soldati romani, di guardia ai crocicchi, videro passare quella donna che camminava curva in avanti, assorta e rapita nel suo indicibile dolore. La seguirono forse con lo sguardo, pigri, e già di nuovo distratti. Io mi immagino che attorno al sepolcro gravasse una coltre di nebbia fine, che rendeva vaga e impalpabile ogni cosa. Come se il mondo intero dormisse per sempre, in quella caligine opaca. (La notte di Maddalena, è quella di noi tutti: quella degli orfani, di chi perde un figlio, di chi resta solo. Di chi perde la speranza). Ma ecco, come un pugno, un colpo al cuore: la pietra del sepolcro giace a terra, ribaltata. Maddalena la fissa, paralizzata. Poi si riscuote, e corre, corre da Pietro. Ritornano, affannati, con Giovanni – i loro passi sui ciotoli dei vicoli, nella città che dorme. E Maddalena spossata ora si accascia davanti al sepolcro: hanno rapito il suo Signore, nemmeno il suo povero corpo martoriato le resta. Un uomo le arriva alle spalle. Lei si volta, e domanda, con un filo di speranza: «Tu sai dove l’hanno posto? Dimmelo, e io andrò a prenderlo». E non lo riconosce. (Come non riconosciamo noi Cristo, talvolta, quando siamo nel dolore. Non lo sa vedere, benché le sia così vicino). Solo la voce che la chiama per nome le apre gli occhi: «Maria!». «Rabbuni!». La voce di una donna è il primo grido della Resurrezione. (Non mi avevi ingannata, non mi avevi lasciata per sempre. Io lo sapevo, che non poteva essere vero: ma tutti, attorno, ti piangevano come uno sconfitto, e la menzogna e la morte trionfavano sulle labbra, sorridenti, dei tuoi giustizieri). «Rabbuni!», e lo slancio a abbracciarlo, viscerale, incontenibile. Lui con tenerezza sorride, ma si sottrae a quelle carezze: «Maria, devo andare». Ma, dopo l’algido buio degli inferi, le braccia, le dolci mani di una donna lo hanno riaccolto alla vita – come il giorno in cui nacque. Io mi immagino la Resurrezione in quell’abbraccio, in quella gioia indicibile. Sarà così, credo, anche per noi, quel giorno, quando vedremo: e ci verrà data consolazione di ogni dolore, e sarà guarito ogni abbandono. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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