sabato 23 gennaio 2016
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Gentile direttore, nel corso di una conferenza stampa tesa a illustrare il profilo dell’attivista radicale Dominique Velati abbiamo preso atto con riconoscenza di un diverso atteggiamento che esponenti cattolici, in particolare il professor Francesco D’Agostino, ci sembrava avessero mostrato, rispetto al passato, nel commentare la vicenda del suo suicidio. Leggendo il 27 dicembre in seconda pagina un suo commento relativo alla vicenda della pena di morte, ci è sembrato di cogliere lo stesso tentativo di ragionare senza lanciare anatemi e stigma sociale nei confronti di esseri umani che la pensano diversamente da lei e da quanti condividono la sua visione del mondo. In quella sua risposta, e nell’editoriale di “Avvenire” del 23 dicembre scorso, permane però una inesattezza. Lei sembra alludere al fatto che Dominique Velati sia stata uccisa oppure si sia fatta uccidere. Più precisamente Maurizio Patriciello esplicitamente afferma: «Potremmo dire che l’hanno uccisa. O, magari, che si è fatta uccidere. E sarebbe la cruda verità». Non è così. Forse siete stati indotti in errore dall’articolo del “Corriere della sera” del 22 dicembre, che racconta di una «iniezione letale praticata da un medico», che non c’è mai stata. Rimane il fatto che Dominique Velati si è recata in Svizzera dove aveva chiesto all’associazione “Dignitas” di poter effettuare il suicidio assistito. Dopo due giorni di colloqui e visite mediche, ha autonomamente bevuto un bicchiere di Pentobarbital che l’ha uccisa prima che lo facesse il tumore. Senza quella devastazione e sofferenza che il cancro porta con sé. Come desiderava; come aveva deciso. Credo sarà d’accordo con noi che la prima forma di tolleranza/carità consista nel riconoscere l’altro, il prossimo, per come è. Nel riconoscere – nel nostro caso a Dominique – la sua identità, le motivazioni per le quali ha compiuto quella scelta e di quale scelta si tratta. Le saremmo perciò grati se volesse ristabilire la realtà dei fatti, affinché i suoi lettori non siano indotti in errore. Nell’attesa di un suo cortese cenno di riscontro, le porgiamo i nostri più cordiali saluti. Emiliano Silvestri Milano Giampiero Bonfantini Cesara ( Vb)La manifestazione delle proprie opinioni, gentili signori Silvestri e Bonfantini, non impedisce affatto il rispetto dei pareri altrui e, soprattutto, della verità dei fatti. Al cospetto della morte di una persona, tutto questo diventa, se possibile, ancora più importante e impegnativo. E per i cristiani questo è vero oggi come ieri. Nel caso del suicidio assistito di Dominique Velati, realizzato in una struttura elvetica specializzata in queste pratiche che giudico terribili, non è certo stato l’eventuale errore di altri cronisti che ci ha portato a ragionare in termini di morte procurata e, infatti, noi non abbiamo scritto di siringhe mortali (né io le ho evocate). Ma in tutta semplicità – e senza esprimere in questa constatazione nient’altro che dolore e nessun giudizio – mi sento di dire e ripetere che preparare un bicchiere di veleno e offrirlo alla persona che manifesta l’intenzione di togliersi la vita non è qualitativamente diverso dall’iniettarle una sostanza letale. Così come non sarebbe purtroppo qualitativamente diversa dal “fare fuoco” l’azione di caricare e deporre davanti a un essere umano la pistola che poi questi si punta alla tempia.  Dominique Velati è morta da sola, per sua propria volontà e con atto autonomo, sottolineate nella vostra lettera. È così, c’è solo da prenderne atto. Così come tutti dobbiamo prendere atto che questa donna, che giustamente don Maurizio Patriciello ha teneramente chiamato «sorella mia», non si è affatto uccisa da sola. Persone capaci, e pagate per questo, le hanno letteralmente somministrato la dose di morte che, con un ultimo gesto della mano, lei si è data. Di fronte alla morte ci si inchina e si tace, se si parla e si scrive è perché si è toccati nel profondo e si cerca di lenire la sofferenza. Questo, dalla prima all’ultima riga, ha comunicato il nostro editorialista. Questo ha trasmesso da uomo di fede, di speranza e di carità. E questo io confermo. Ricambio il vostro cordiale saluto.Marco Tarquinio 

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