venerdì 20 dicembre 2019
L’importanza di una rete di trasporti efficiente e al servizio di tutti
I super treni italiani una storia di successo ma metà del Paese non ne beneficia. Con i nuovi investimenti sulle ferrovie la necessità di guardare ai territori periferici

I super treni italiani una storia di successo ma metà del Paese non ne beneficia. Con i nuovi investimenti sulle ferrovie la necessità di guardare ai territori periferici - Ansa

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Popolare e glamour allo stesso tempo l’alta velocità ferroviaria brilla sul palcoscenico dei trasporti italiani, per il resto piuttosto malconci. Quella dei treni veloci è la storia di un successo industriale e commerciale. A dieci anni dal debutto hanno impresso al Paese una spinta verso la modernità anche sul piano delle abitudini sociali. Spostarsi tra Milano e Torino o tra Roma e Napoli è diventato in molti casi più facile, comodo e rapido che arrivare in centro dall’hinterland di una grande città. La Roma-Milano, una delle tratte più affollate d’Europa, consente un’operatività andata e ritorno in giornata tra le due capitali utile a tutto il Paese. Con Frecciarossa e Italo si è diffuso un pendolarismo a lungo raggio, con una conciliazione dei tempi familiari e lavorativi prima inconcepibile. Il nuovo orario Trenitalia permette perfino la cena fuori prima del ritorno a casa.

Sulle medie distanze il treno veloce ha vinto la sfida con l’aereo. La nuova offerta sui binari ha eroso importanti quote di mercato alle aviolinee e, se non ha giovato Alitalia, di certo ha ridotto le emissioni nocive e fatto bene all’ambiente oltre che migliorare il comfort di viaggio dei passeggeri. Sul piano della concorrenza, il debutto del vettore privato di Ntv ha costretto il vecchio monopolista pubblico delle Ferrovie (dopo la cattiva tentazione del boicottaggio) a raccogliere la sfida sul piano della qualità del servizio. I prezzi sono scesi, almeno inizialmente. E l’offerta si è moltiplicata così tanto da diventare un problema. Ci sono stazioni e tratte prossime alla saturazione e la puntualità dei treni è messa quotidianamente alla prova, tanto che i tempi di percorrenza programmati si sono alcuni casi allungati (10-15 minuti in più sulla Roma-Milano).

Ma accanto a questo boom c’è la storia 'minore' di chi sta perdendo la sfida. L’affermarsi dell’Av ha segnato un aumento delle disuguaglianze territoriali, sul piano dei trasporti e non soltanto, che attende in qualche modo di essere colmato, è il simbolo di un’Italia a 2 velocità, del divario tra chi è 'in' e chi è 'out' rispetto alla rete da 300 km orari. Mezza Italia ha fatto un passo o due avanti. L’altra metà, comparativamente alla prima, è andata indietro. Chi corre sulla futurista Av sente di tenere il passo dei tempi: si tratta di buona parte del Nord e giù a scendere da Bologna fino a Napoli. Gli altri vanno piano e poco lontano. L’Italia lumaca o quasi comprende l’intero Meridione del Paese sotto Salerno, la linea adriatica, la tirrenica da Roma a Genova-Ventimiglia. Per non parlare delle trasversali est-ovest lungo lo Stivale: da Grosseto ad Ancona in treno ci vogliono almeno 7 ore, da Napoli a Pescara 6 ore, circa il doppio che in auto. E poi le mille linee dei pendolari, spesso obbligati a piccole odissee quotidiane per raggiungere casa o lavoro. Sul trasporto regionale «per troppi anni non si è fatto nulla a causa probabilmente di un sistema drogato », ha ammesso l’altro giorno Gianfranco Battisti, ad di Fs. Così oggi abbiano le metropoli vicine e interconnesse, le province e le periferie territoriali più lontane. Un andazzo che penalizza però anche città e regioni popolose. Dove a pesare non è solo la lentezza degli spostamenti ma anche la frequenza e la qualità dei collegamenti.


L’Italia lumaca comprende l’intero Sud, la linea adriatica, la tirrenica da Roma a Ventimiglia. E le trasversali est-ovest


Da Roma a Milano e viceversa partono quasi 100 treni veloci al giorno, in pratica uno ogni 10 minuti. Una cadenza quasi da metropolitana. Nella serie B (a volte C) dei trasporti succede invece che due grandi aree urbane come Torino e Genova siano collegate da 4 intercity e 1 frecciabianca quotidiani, il resto sono treni regionali. Tra Napoli centrale e Reggio Calabria, ci sono 7 collegamenti giornalieri entro le 5 ore di viaggio e molti obbligano al cambio. Sulla Napoli-Bari su sette treni a lunga percorrenza solo 4 impiegano meno di quattro ore. Da Roma ad Ancona due soli Inter-city al giorno per quasi 4 ore di viaggio. Dal capoluogo marchigiano a Bari il primo treno utile arriva a destinazione alle 14.30. Sempre da Ancona ma per Trieste bisogna cambiare in genere tre convogli e ci si mette almeno sei ore. A chi si voglia avventurare da Reggio Calabria a Bari, il sito Trenitalia offre solo 4 soluzioni al giorno: un autobus notturno e tre treni che, cambio compreso, impiegano 8 ore e mezzo.

Nell’Italia a due velocità si polarizzano anche i 'consumi' di trasporto. C’è una domanda di mobilità che l’alta velocità con i suoi costi non riesce a intercettare. Quella di chi non può permettersi ad esempio i 50 euro del biglietto base 2a classe (40 euro in tariffa economy) per andare da Roma a Firenze in un’ora e mezzo. Una platea che ha alimentato il boom dei collegamenti interurbani in autobus a prezzo contenuto, come Flixbus. Affollati di giovani e non solo che preferiscono metterci più tempo, magari viaggiando la notte, pur di spendere meno. O che in alternativa si affidano all’autostop 2.0 dell’app Blablacar. La realizzazione della nuova linea Napoli-Bari, l’ampliamento delle tratte veloci tra Milano e Venezia e forse il progetto del terzo valico di Genova dovrebbero nei prossimi anni allargare l’estensione dell’alta velocità sul territorio. Ma le nuove reti hanno comportato e comportano enormi investimenti sulle infrastrutture, peraltro con una spesa media a chilometro nettamente maggiore che all’estero e con ritorni economici non sempre altrettanto consistenti. Per ragioni finanziarie, ecologiche, di impatto ambientale e anche di consenso popolare, la rete Av non è un modello estendibile più di tanto.


Spostarsi tra Milano e Torino o Roma, o tra Roma e Napoli è diventato più facile, comodo e rapido che arrivare in centro dall’hinterland di una grande città Con grandi vantaggi per le persone e per l’ambiente

La stessa Napoli-Bari, che costerà oltre 6 miliardi di euro e dovrebbe essere pronta nel 2026, non ha le stesse caratteristiche tecniche delle linee veloci già in esercizio: duplica in buona parte il tortuoso tracciato preesistente a binario unico e permetterà velocità massime sotto i 200 e non di 300 chilometri l’ora. Un’ipotetica nuova linea Reggio Calabria-Napoli o Bari-Ancona costerebbe moltissimo e una volta ultimata non potrebbe essere mai profittevole come la Torino-Milano-Bologna-Roma, dove il servizio è di mercato, si sostiene cioè con gli introiti dei biglietti e presuppone una forte domanda di mobilità, anche business. Problematiche già evidenziate dallo scontro sui costi-benefici della Torino-Lione, che pure sarà in buona parte sussidiata da fondi europei. E che si sono ripresentate, su scala ridotta, sulla Brescia-Verona.

Più che un’alta velocità diffusa ovunque, c’è quindi da immaginare uno sviluppo ecosostenibile dei trasporti pubblici con un progressivo ammodernamento tecnologico delle linee nazionali e regionali già esistenti. Servirebbe un sistema più efficiente e integrato che colleghi le grandi stazioni dell’alta velocità, i capoluoghi di provincia e le tratte locali centro-periferia superando nodi e colli di bottiglia che rallentano il traffico sulle linee tradizionali. Una rete che possa offrire una reale alternativa all’automobile, pur sapendo che in qualche caso a una ferrovia scadente sarà preferibile un buon collegamento stradale. È una 'filosofia' alla quale i decisori pubblici e le ferrovie si stanno lentamente convertendo dopo la 'sbornia' della velocità massima e dei mega cantieri. Una mobilità diffusa e sufficientemente rapida è una esigenza dell’economia e mondo di oggi. Chi non ha il Frecciarossa non può restare a terra.

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