martedì 28 aprile 2015
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È difficile anche solo immaginare un impatto emozionalmente più forte di quello provocato dalla decisione di papa Francesco di convocare un anno giubilare straordinario dedicato alla misericordia. E, ancora a pochi giorni dalla pubblicazione della bolla d’indizione Misericordiae vultus, è altrettanto difficile pensare a un documento passato al setaccio dei commenti con altrettanta enfasi, anche – forse soprattutto – da parte "laica". E così il discorso della e sulla misericordia di Bergoglio è entrato, e continua a entrare, più ancora di quanto non lo fosse prima, nella trama delle nostre giornate; nella prospettiva, auspicata, che arrivi a essere il vero tessuto connettivo di una società rigenerata. Senza dubbio la Bolla del Papa, nella sua stringata essenzialità, è una vera miniera di provocazioni e di suggestioni. Al punto che, in qualche modo, lasciando da parte l’insistenza sulla presunta novità del Giubileo «che si potrà celebrare in ogni diocesi» (in realtà ciò avviene dal Giubileo straordinario del 1983), si può ben comprendere il soffermarsi dei commenti di cui s’è detto sui diversi accenti posti nel testo da Francesco: il pentimento dei mafiosi e dei corrotti, l’attenzione sempre dovuta ai poveri, l’imprescindibile collegamento tra misericordia e compassione, la "riscoperta" delle opere di misericordia spirituali e culturali, il costante invito al dialogo. A fissare in tal modo il rapporto tra la misericordia, «architrave» che deve sorreggere la vita della Chiesa, e il possibile, sperato "contagio" che da essa si può diffondere. Tutto giusto. E, anzi, si può dire che lo stesso papa Bergoglio incoraggi a leggere in questa chiave di "architettura" il documento che ci ha regalato per l’occasione. C’è tuttavia qualcosa, in questo suo urgente, pressante invito alla riscoperta della misericordia di Dio, un richiamo, che precede e attraversa tutta la sua visione, e che investe ciascun credente di una responsabilità diretta e imprescindibile. E che il Papa ha posto quasi all’inizio della Bolla, quando, al numero 3, scrive che «ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre». È l’esortazione a quella quotidianità, all’esercizio di quella che potremmo chiamare "la misericordia della porta accanto" senza la quale niente, del discorso di Francesco, si regge. Perché, al di là di tutte le cose dette e delle belle, e magari anche giuste, parole spese sul Giubileo, se come cristiani non vogliamo barare di fronte alla provocazione del Papa, è indispensabile che la misericordia di cui oggi ci viene offerta un’occasione irripetibile di riscoperta diventi lo stile di ogni giorno. In famiglia, nel condominio in cui si vive, nel traffico, al lavoro, nel correre e scorrere della vita. Non si è il cemento che sostiene quell’architrave se non si è parte viva di quella stessa architrave. E nessuna società potrà rigenerarsi nel segno della misericordia se i credenti non sapranno contagiare di essa, ma sul serio, il loro piccolo mondo. «Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre», ha scritto Francesco nella prima riga della Bolla. Quel Padre che ha avuto compassione dell’uomo e, attraverso il figlio, lo ha avvolto con la sua misericordia per salvarlo. Oggi, ci dice Francesco, il volto della misericordia dev’essere il nostro, quello di ciascuno di noi. Quella faccia che vediamo ogni giorno allo specchio, e nella quale chi ci incontra deve poter riconoscere la forza rivoluzionaria dell’amore di Dio, che cambia tutte le cose.
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