martedì 26 agosto 2014
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Nei giorni senza fine del martirio dei cristiani di Medio Oriente , la nostra memoria soffre non riuscendo più a ricordare le cose essenziali. Non possiamo tenere a mente, per quanti sono, i martiri d’Asia e d’Africa dei tempi più recenti, la memoria si perde nei posti più diversi, deve ricordare stragi, eccidi, comunità e nazioni intere martoriate. Dalla Nigeria ove si uccide e s’inghiottono nel gorgo della schiavitù umana e religiosa ragazze di cui non si sa più nulla, alla Siria dove villaggi e città composte in maggioranza da cristiani d’ogni denominazione sono assediate, e vedono lo spettro dell’alternativa tra la fuga e la morte. Poi il Pakistan, il Sudan, altri Paesi nei quali regna la paura quotidiana che accada il peggio, il Mediterraneo d’Africa e del Medio Oriente rischia di non essere più patria per cristiani, ebrei, uomini e donne di fede diversa da quella islamica. Oggi l’Iraq ha visto scatenarsi nei luoghi storici della Mesopotamia, nella valle di Ninive, nei monti del Sinjar, il gruppo più feroce e estremo che sequestra, scaccia popolazioni intere che sono lì da millenni, non sanno più che fare, non hanno scelta, sono ridotte a sperare che qualcuno li salvi. Tanti sono i perseguitati, uccisi, resi schiavi, esiliati, tanti sono i luoghi del martirio, che la nostra memoria non li trattiene tutti, anche quando preghiamo li uniamo insieme nelle invocazioni perché il male si fermi. Eppure nessuno potrà un giorno dire che non sapeva, perché oggi si conosce la violenza del male fin nei dettagli. C’è un’altra memoria che non riesce a ricordare, ma per motivi opposti, perché è quasi vuota. Non ricordiamo strategie, atti concreti, interventi, sollecitazioni, dell’Europa, delle istituzioni internazionali, contro le persecuzioni semplicemente perché non esistono. Solo di recente, per l’orrore che si mostrava al mondo, s’è attivato qualcosa per salvare il salvabile. Guardiamo allora dentro di noi, scopriamo che i sentimenti più drammatici di queste settimane, come per altri cicli persecutori, sono quelli dell’impotenza e della vergogna. L’impotenza la esibiamo al mondo intero, pochi la capiscono, la leggono come frutto d’indifferenza, cinismo, verso le vittime che contano poco. La vergogna è sentimento tutto nostro, trasversale, per il silenzio della politica e della cultura di fronte a violenze di cui è difficile trovare traccia in epoche passate, anche perché moltiplicate dalla forza e modernità delle armi usate per distruggere e devastare. Perché l’Europa tace, o parla a stento e non fa nulla? Forse perché ha dimenticato le sue radici, perché quasi si vergogna del cristianesimo che l’ha fondata? Perché ha declassato le vittime cristiane rispetto ad altri genocidi storici? Perché addirittura nutre un grumo di alienata simpatia per l’estremismo in quanto tale? Perché è diventata una società sazia e indifferente nel cui animo s’affievolisce l’antica umanità e spiritualità? Forse per tutte queste cose insieme. Evocate nei cenni di risposta che opinionisti di diverso orientamento, cominciano ad articolare di fronte alle domande che la cronaca che si fa storia impone e che, su queste colonne molte volte sono state scandite e approfondite.Ma non basta puntare il dito sull’Europa, perché da decenni s’è costruito un ordine mondiale solo teoricamente capace d’intervenire per difendere chi è aggredito, impedire eccidi, garantire l’esercizio dei diritti umani a tutti gli uomini. Ci sono norme e strumenti adatti per «fermare » l’aggressore, a condizione che non si chiudano gli occhi di fronte al male. L’ordine planetario creato dopo i totalitarismi moderni, le sue istituzioni, gli Stati che vi aderiscono, rimangono inerti, di fronte a orrori annunciati, poi regolarmente perpetrati. Ma il silenzio dell’Onu, di chi per esso può agire, è come una licenza perché il male colpisca, decreta una dimenticanza d’ufficio per le vittime, toglie perfino la speranza per il futuro.  Ancora una volta, quasi solo la voce del Papa, e delle autorità religiose della Regione, nelle ultime settimane si è alzata ripetutamente per reclamare giustizia, aiuto, difesa dei diritti, gridando «no alla guerra in nome di Dio», richiamando i doveri delle Nazioni Unite, parlando alla coscienza di tutti noi.  Una riflessione è perciò necessaria per comprendere la dimensione storica di quanto sta accadendo, ricordando che un Occidente pretenzioso ha scatenato guerre in intere regioni, per lottare contro le dittature, ma per tutelare anche interessi economici concreti, e non si è chiesto cosa sarebbe accaduto dopo. Poi, è accaduto il disastro. I regimi crollano o s’indeboliscono, ma vince l’anarchia, la logica tribale, intere società tornano indietro nella storia, prede di bande che applicano la legge del più forte, com’è successo in Libia, o leggi barbariche ancora più antiche come avviene oggi in Iraq e in parte della Siria. Questo stesso Occidente non dice nulla, continua a sbagliare analisi e alleanze, si muove con grande ritardo. Propizia, così il disastro che si consuma poco per volta, cancella le persone, le loro famiglie e comunità, archivia interi pezzi di storia che hanno contribuito alla ricchezza e pluralità della cultura dei luoghi. E scarse e isolate restano le voci di condanna da parte islamica per chi utilizza la religione per crimini contro l’umanità.  Papa Francesco, intanto, è volato in Corea, anch’essa luogo di antichi martiri, ha invocato la fede nel Cristo che abbraccia tutti gli uomini e fatto appello a quella ragione che l’Occidente dovrebbe coltivare e invece spesso dimentica per seguire altre logiche, altre strade, che non portano all’uomo, ma alla sua negazione. Il Papa ha parlato del mondo stanco di guerre, di un’umanità retta da leggi economiche egoiste che rischia il fallimento, ha offerto all’Asia e alle sue grandi nazioni la mano tesa della Chiesa, che non vuole conquistare nulla ma soltanto unire, accompagnare le popolazioni a crescere e vivere in pace e giustizia. C’è molto da fare, per ognuno di noi, se vogliamo alleviare le sofferenze dei perseguitati di oggi, strappare il futuro ai violenti, costruirlo nel rispetto del diritto alla vita e alla libertà religiosa per tutti gli uomini.
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