martedì 29 marzo 2011
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È difficile sottovalutare il risultato delle elezioni regionali svoltesi domenica nei Länder tedeschi del Baden-Württemberg e (in misura minore) della Renania Palatinato. E ciò sia per gli effetti sulla politica locale, sia per le conseguenze sul piano federale. Il dato elettorale del Baden-Württemberg – il terzo Land tedesco per popolazione e il più avanzato dal punto di vista tecnologico e industriale, sede fra l’altro della Mercedes, della Bosch e della Porsche – è clamoroso: la democrazia cristiana locale (Cdu), che governava dal 1953 (un anno dopo la formazione del Land, nel 1952) e che negli ultimi quattro anni era in coalizione con i liberali della Fdp, ha perso la maggioranza assoluta di cui godeva con il suo partner di governo. Per la prima volta nella storia del grande Land del sud-ovest tedesco, una coalizione di governo è stata sconfitta alle urne ("abgewählt", "de-votata", dicono i tedeschi). Per avere una percezione della portata di quel voto dovremmo immaginare una sconfitta della sinistra nelle elezioni regionali in Toscana o in Emilia-Romagna. Ma la rivoluzione non finisce qui: anche nel campo vincitore, quello di sinistra, vi è un dato sconvolgente per gli equilibri della politica tedesca. I Verdi, infatti, per la prima volta in una elezione regionale, hanno superato i socialdemocratici, ridotti al rango di terzo partito della Regione, con meno di un quarto dei voti. E il leader del Partito Verde, il moderato Winfried Kretschmann, sarà quasi sicuramente il primo ministro-presidente Verde di un Land tedesco, a 28 anni dallo storico ingresso degli ecologisti nel Parlamento federale. È probabile che la forte crescita dei Verdi, oltre che da un radicamento storico della cultura ecologista nel Sud-Ovest tedesco, sia stata "drogata" dalle conseguenze dell’incidente atomico di Fukushima, cui la cancelliera Merkel aveva tentato di fare fronte annunciando, nei giorni scorsi, un anticipo della fuoriuscita dal nucleare. Ma sarebbe un errore di prospettiva sopravvalutare il dato regionale e quello congiunturale nel guardare alla grande crescita dei Verdi: non solo il loro successo è stato notevole anche in Renania-Palatinato (dove hanno strappato 10 punti percentuali alla Spd, che finora governava da sola), ma i sondaggi a livello federale li danno in forte crescita da mesi e la riproduzione a livello federale dei rapporti di forza che ora caratterizzano il Parlamento di Stoccarda non è affatto esclusa. L’ipotesi di un sindaco Verde a Berlino e persino di un cancelliere Verde nel 2013 non appartiene più al campo della fantapolitica. Non è chiaro quali effetti il terremoto elettorale di Stoccarda produrrà a livello federale, in particolare sulla leadership della Merkel nel suo partito (in cui si accentuerà la discussione fra le varie anime) e nella sua coalizione, all’interno della quale il partner minore – i liberali – ha subito domenica un vero e proprio tracollo. Ma è improbabile che la crisi coinvolga direttamente la posizione della Merkel, nonostante i molti dubbi sulle sue esitazioni in questi ultimi mesi, sia a proposito della crisi libica, sia in materia di nucleare. È vero che a molti la Merkel sembra prigioniera di tatticismi ed eccessiva prudenza, senza visione, più l’amministratrice di un gigantesco condominio che un vero leader capace di indirizzare la politica tedesca, più Erhard che Kohl, insomma. Ma non si può dimenticare che critiche di questo tipo furono spesso rivolte a Kohl prima del 1989 e che ciò non gli impedì di diventare il padre dell’unità tedesca nel 1990 e di restare in carica più a lungo di ogni altro leader democratico europeo, per 18 anni. Del resto, un’alternativa alla Merkel a livello federale non esiste oggi, né nel suo partito, né fuori di esso. Più che agli effetti immediati occorre guardare a quelli di medio periodo sul sistema politico, che già si intravedevano dopo le elezioni federali del 2009: la crisi dei partiti popolari – democristiani e socialdemocratici – e la crescita, ieri dei liberali, oggi dei Verdi, nel quadro di una forte mobilità elettorale. Almeno in politica, la proverbiale stabilità tedesca è un ricordo del passato.
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