giovedì 21 maggio 2020
La pandemia ha scombinato i piani transalpini di nuova grandeur e spinto a una lezione di umiltà
Turisti con la mascherina davanti alla Tour Eiffel. La Francia ha cominciato a uscire dal lockdown l'11 maggio

Turisti con la mascherina davanti alla Tour Eiffel. La Francia ha cominciato a uscire dal lockdown l'11 maggio - Reuters

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Anche in Francia, tanti rovelli complicano la Fase 2, dopo la data fatidica di passaggio dell’11 maggio, dagli effetti più limitati nella regione parigina e nel Nord-Est, ovvero per oltre 27 milioni di francesi. Ma c’è di più. Ai vertici del Paese, la pandemia sta creando una vera crisi d’identità, ammessa in tv a mezza voce, il 13 aprile, dallo stesso presidente Emmanuel Macron: «In questo momento, dobbiamo saper uscire dai sentieri battuti, dalle ideologie, reinventarci. E io per primo». Un verbo impegnativo, reinventarsi. Uscito poco dalla bocca di altri leader europei, più concentrati sulla retorica della coesione nazionale durante la prova: magari, reinventare le regole Ue, ma senza osare l’uso del riflessivo. Perché, dunque, questo bisogno francese ineludibile di reinventarsi? In proposito, conviene ripensare al Macron salito al potere impetuosamente tre anni fa (maggio 2017), con un obiettivo europeo quasi impudente: restituire a Parigi la guida continentale. Cioè, in termini pratici: eguagliare «entro il 2030» il primato tedesco di competitività economica che continua a far ombra a quello diplomatico francese. Anche grazie a due fattori cruciali: la vicina e complessa transizione post-Merkel al di là del Reno; ma anche una natalità transalpina tanto vigorosa, rispetto a quella tedesca, da scatenare già oltralpe una ridda di calcoli sulla data del non lontano sorpasso demografico.

Nella geopolitica europea, erano queste le ambizioni francesi, neppure velate. Ma poi, per Parigi, è giunto un pesante uno-due imprevisto. Prima, le acute difficoltà di Macron per imporre anche solo in parte la propria 'iniziativa' della Sorbona (settembre 2017) volta a rimodellare istituzioni e regole nell’Ue. Adesso, il macigno della pandemia che costringe l’Eliseo all’understatement, fra espressioni di «umiltà »: una parola prima al bando nel vocabolario dei vertici d’oltralpe. In un Paese che ama paragonarsi con i vicini (salvo forse la Gran Bretagna, troppo 'atlantista' per i gusti francesi), anche per giustificare posizioni avvertite altrove come altezzose e condiscendenti, il governo si ritrova a far equilibrismo «su un crinale», come ha ammesso il premier Edouard Philippe in Parlamento. Proprio il 5 maggio: data (anche molto manzoniana) di un anniversario che conserva oltralpe un sapore alquanto crepuscolare. Difficile come mai difendere la grandeur, dopo le brucianti lezioni della pandemia e lo spaventoso lievitare dei morti, ormai oltre i 28mila: «Allora, eravamo preparati a questa crisi? Evidentemente non abbastanza, ma l’abbiamo fronteggiata come dappertutto altrove», ha ammesso Macron in tv, guardando i connazionali negli occhi, di colpo spogliato della vanità da capo dello Stato elegante, decisionista e 'pennacchiuto' (il famoso panache presidenziale) a cui i francesi sono abituati.

Da settimane, l’opposizione ha gioco facile nel mostrare che la Germania dalla sanità molto più decentralizzata è stata ben più reattiva, dispiegando con tempismo dei mezzi fuori portata per la Francia. Inoltre, tanti esperti accusano Parigi di aver sottovalutato i segnali premonitori e gli avvertimenti giunti da Italia e Spagna, colpite prima. Eppure, costretto a giustificare in Parlamento lo scarso fulgore francese nel quadro della reazione europea alla crisi, Philippe non ha trovato di meglio che rifugiarsi in un distinguo con l’Italia, dichiarando il 5 maggio ai deputati: «Il sistema italiano ha dovuto effettuare la famosa e terribile selezione dei malati a proposito dell’entrata in rianimazione. Non è stato il caso della Francia, perché il nostro sistema ha retto, probabilmente perché ha avuto un po’ più di tempo per adattarsi rispetto a quello dei nostri amici italiani». Un’analisi della situazione parsa a molti come una scorciatoia, se non una semplificazione edulcorata, rispetto a certe testimonianze drammatiche emerse da nosocomi transalpini grandi e piccoli. Ma in ogni caso, persino questa giustificazione precipitosa e di dubbio gusto corrobora l’idea di un Paese in crisi d’identità, anche tenendo conto dell’atteggiamento dell’emiciclo parlamentare, visibilmente preoccupato dal 'rango' internazionale offuscato della Francia. Il Paese che sognava di riprendere le redini europee, lo stesso del resto tradizionalmente così fiero del proprio sistema sanitario, si è scoperto vulnerabile come Belgio, Spagna e Italia.

Inoltre, anche senza contare lo spettro di tracolli a catena nel tessuto produttivo, rischiano già di aprirsi tre insidiose ferite collaterali: il malcontento quasi allo spasimo nelle banlieue emarginate, parse nottetempo a un passo dalla rivolta; l’imbarazzante capitolo giudiziario delle cause intentate contro lo Stato dai malati o dalle loro famiglie per cattiva gestione della crisi, nella speranza d’ottenere lo status di vittime ed eventuali indennizzi; le pesanti ripercussioni in termini di popolarità per l’esecutivo. Su quest’ultimo fronte, il 67% dei francesi avrebbe un giudizio negativo sulla gestione governativa di mascherine e test (sondaggio Elabe), mentre il 71% preferirebbe addirittura la creazione di una 'grande coalizione' alla tedesca per meglio sormontare la crisi (Ifop). Per Macron, l’ex golden boy deciso a far da mazziere in Europa, rischia ora di crollare tutto un 'castello di carte'. Certo, nella partita Ue sul rilancio economico continentale, Macron continua a considerarsi un 'ago della bilancia' fra Nord e Sud. Ma a mediare è il presidente di un Paese in pieno dubbio, dove certi politologi e intellettuali s’interrogano persino sulla pertinenza del 'centralismo' statalista francese. Proprio un Paese da 'reinventare', quasi obbedendo a un’elementare tattica gattopardesca. Nell’immediato, una volta superati i giorni peggiori della crisi sanitaria, la prima 'reinvenzione' personale di Macron è stata nel look. Incontrando degli scolari 'costretti' a tornare a scuola in anticipo in quanto figli di personale sanitario, il capo dell’Eliseo ha sfoggiato una maschera in tessuto a copertura integrale blu notte, con mostrina tricolore, che ha ispirato paragoni persino con i protagonisti di certi vecchi cartoni animati giapponesi. Un look quasi da supereroe di fronte alle forze del male che insidiano la Francia e l’umanità, insomma. Nelle stesse ore, Philippe controbilanciava in qualche modo l’azzardato paragone fra gli ospedali italiani e francesi invocando la necessità per la Francia di ricorrere all’«antica qualità nella quale i romani attingevano la loro forza: la virtù che combina rettitudine, onestà e coraggio».

Ma al di là del look, una domanda, fra le altre, agita le notti dei più alti reggitori transalpini: possibile rilanciare in simili condizioni le promesse di una Francia sempre protagonista, ammirata (ancorché non sempre amata) al centro della scena europea? All’epoca dell’Unità d’Italia, la Parigi attuale sorse per atto d’imperio sulle macerie di quella di 'pasta' medievale, rasa quasi interamente al suolo in meno di vent’anni per lasciar posto al modello ortogonale del boulevard e dell’avenue: una modernizzazione imposta con una fermezza di ferro che indignò Victor Hugo. Ma retrospettivamente, in fondo, fu solo una delle grandi 'svolte' demiurgico-giacobine che la Francia ha conosciuto ciclicamente negli ultimi due secoli e mezzo: evocando solo il Novecento, si pensi alla nuclearizzazione a tappe forzate voluta da Charles de Gaulle, o ai cantieri ferroviari titanici lanciati da François Mitterrand. È sufficiente pensare solo a questo tratto nazionale francese per esser certi d’una cosa: no, la Francia ammaccata, in crisi d’identità e un po’ sgonfiata nell’autostima non è al tappeto. Il pentolone dell’ambizione nazionale bolle sempre, sia pure provvisoriamente sotto un pesante coperchio. Ma a maggior ragione, l’interrogativo s’impone: i tentativi di nuovi rilanci della grandeur potranno seguire ancora il vecchio stile francocentrico del 'chi mi ama mi segua'? La Francia oserà interpretare nuove partizioni preparate prevalentemente al proprio tavolino?

Come mai prima, dati i tempi e il bisogno di «reinventarsi» caro a Macron, è forse lecito sperare che la crisi d’identità in corso possa prendere per una volta una piega altruista non solo di facciata: prima di tutto in chiave continentale, come incoraggia a credere l’insistenza di Parigi sulla creazione di «campioni industriali europei » (sul modello di Airbus) con il piano di rilancio Ue. Dopotutto, la Dichiarazione Schuman (9 maggio 1950, primo atto concreto in vista di un’unione europea), appena commemorata e ricordata anche da papa Francesco, non fu forse il frutto di un grande statista francese, Robert Schuman (1886-1963), indimenticato 'padre nobile dell’Europa' animato da una profonda fede cristiana (riconosciuto servo di Dio, è in corso la causa di beatificazione)? E più prosaicamente, il motto «tutti per uno, uno per tutti» non è stato forse popolarizzato dalla penna di un francese?

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