domenica 9 dicembre 2012
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«Il momento decisivo per il destino dell’u­manità, il momento in cui Dio si fece uo­mo, è avvolto da un grande silenzio». Viene in mente il sermone di Bernardo di Chiaravalle sul­l’Annunciazione ascoltando il Papa, nel giorno dell’Immacolata. «Ecco – scrisse san Bernardo – l’aspettato da tutte le genti sta fuori, e bussa alla porta». È l’istante in cui il Creatore domanda il 'sì' di una donna, per nascere, bambino, fra gli uomini. È un attimo di abissale silenzio, in cui la creazione stessa attende il suo destino.
Ma, dice Benedetto, quell’incontro passa del tutto inos­servato. Nessuno sa, nessuno ne parla; e, aggiunge, se ac­cadesse ai nostri tempi l’evento «non lascerebbe traccia sui giornali». Sembra quasi di avvertire, dietro le parole, un sorriso, all’idea che – acca­desse oggi – i grandi network televisivi interna­zionali, e il New York Times e tutte le più autore­voli testate, tutti bucherebbero la notizia. Perché quello di Nazaret è un mistero che acca­de nell’ombra. Perché 'ciò che è veramente gran­de passa spesso inosservato', insegna il Papa. E sembra volere dire a noi, sommersi dalle voci e dal rumore, e a volte da questo frastuono spaventa­ti, di non avere paura: perché ciò che è davvero grande accade spesso nel nascondimento, in luo­ghi dove non te lo aspetteresti, nel cuore di uomini che che il mondo giudica da nulla – co­me una ragazza di quindici anni, in u­na paese della Galilea.
Ma partendo dal silenzioso 'fiat' che capovolge la sto­ria, il Papa aggiunge un’altra conside­razione – perfino, dice, più importan­te. E cioè 'che la salvezza del mondo non è opera dell’uomo – della scienza, della tecnica, dell’ideologia – ma vie­ne dalla Grazia'. Antica certezza cri­stiana, che nella voce mite di Bene­detto XVI confligge frontalmente, du­ramente, con le certezze in cui in fon­do anche noi credenti spesso viviamo. E cioè che la storia la facciamo noi, noi la pieghiamo, la raddrizziamo, noi or­gogliosamente la plasmiamo. Mentre il motore vero e silenzioso del mondo per i cristiani è la Grazia. Grazia? Molti battezzati non sanno più esattamente cosa sia, questa Grazia.
Infatti il Papa esplicitamente pone la domanda, come un maestro di sme­morati scolari, e risponde splendida­mente: Grazia è «Dio, che trasforma e rinnova». Così che per quanto l’uomo possa ca­dere in basso, «non è mai troppo in bas­so per Dio». Per un Dio che in Cristo, nella notte del Sabato, è sceso nel profondo della morte; e dunque, po­trebbe lasciarsi ora fermare dal nostro male? No, promette Benedetto: per quanto un uomo possa essere andato lontano, Dio è sempre «più grande del nostro cuore». Che speranza stellare. Anni luce lonta­na dal nostro quotidiano scandaliz­zarci, accusare, gridare che tutto il mondo ( ma non noi) è corrotto; dal nostro ergerci a onesti, e a giudici che condannano senza appello. Anche questo è frastuono che copre e stordi­sce, brusio che assorda e ammutolisce – e dispe­ra.
Eppure in silenzio, senza che nessuna teleca­mera se ne avveda e registri, continua a semina­re, nella storia, il «Dio che trasforma e rinnova». Come? Pensate solo alla forza che i santi impri­mono alla storia, e in quali momenti il loro desti­no misteriosamente si incarna. Il curato d’Ars na­sce alla vigilia di una Rivoluzione che cercherà di annientare la Chiesa di Francia. Bambino, va a messa di nascosto, di notte, e viene cresimato clandestinamente, in un fienile. Non era un buon tempo, il giorno in cui due contadini della cam­pagna lionese concepirono quel bambino; e an­che quel giorno, certamente, i giornali non a­vrebbero scritto niente.
Quando padre Kolbe, matricola 16.670, a Au­schwitz offrì la vita per salvare un altro prigionie­ro, nessuno sapeva. E, il ragazzo che nella Polo­nia occupata dai nazisti spaccava pietre in una cava? Anche in lui, invisibile, un’altra storia cova­va. Per questo ci viene detto di non lasciarci som­mergere dal clamore: perché «ciò che è veramen­te grande passa spesso inosservato». Come quel giorno in Galilea, di marzo, in una casa da nien­te; e lei, poco più che bambina. In quell’istante di tempo vertiginosamente sospeso in cui, per boc­ca di un messaggero, Dio bussò alla porta; e, per un silenzioso interminabile istante, attese.
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