La ferita di una madre e lavoratrice nella Repubblica fondata sul lavoro
venerdì 8 marzo 2019

Una voce di donna piena di dignità denuncia una perdurante discriminazione. Ascoltarla proprio oggi è importante. E io la ringrazio perché spiega una battaglia che facciamo da tempo e con valori tutti interi Caro direttore, “Avvenire” richiama da anni il tema delle tutele alla famiglia, di come incentivarle, e io – come tante altre mamme nella mia stessa situazione – sono testimone diretta di come persino la normativa del lavoro, sia in realtà ancora “antifamiglia”, di come non la agevoli affatto e perciò freni le nascite di figli, preziosa linfa vitale per il futuro del nostro Paese, che dal “fare famiglia” conseguono. Sono una donna di 44 anni che ad agosto 2018 ha dato alla luce una bimba (meravigliosa). Per tale motivo la Compagnia di Assicurazione per cui lavoravo ha ritenuto di non rinnovarmi, alla scadenza, il contratto di lavoro a tempo determinato che avevo in essere, assumendo al mio posto, un’altra “risorsa” meno “gravida” di possibili problematiche legate alla maternità. Scelta lecita dal punto di vista giuridico. E questo è il punto: possibile che questo possa accadere in un Paese, come l’Italia, che si proclama «Repubblica fondata sul lavoro»? Possibile che proprio qui il lavoro sia, nei fatti e dentro le regole, precluso a tante donne che sono già o che saranno madri? Pensi che quando comunicai il mio stato di gravidanza all’Assicurazione per cui lavoravo, mi chiesero di continuare fino alla scadenza del contratto con tanto di prescrizione medica del mio ginecologo sul mio buono stato di salute, poiché viceversa sarei andata in maternità prima della scadenza del contratto stesso. In pratica sfruttata sino all’ultimo, e poi abbandonata. Com’è possibile così pensare di vivere serenamente, o anche solo pensare, la maternità? Quando sei in preda alle preoccupazioni e ti ritrovi a centellinare ogni centesimo, in vista di eventuali periodi ancora più difficili se non riuscissi a trovare un nuovo lavoro in tempi brevi, cercando sempre di farmi vedere sorridente dalla mia bambina per non farle percepire la sconsolata tristezza che ho dentro. Mi piacerebbe che queste situazioni, che sono sì personali, ma anche specchio del nostro Paese, che troppo spesso è ancora “anti donna/madre/figli/famiglia”, venissero messe al centro della politica e ricevessero finalmente non una riforma generale, perché anche con la recente riforma parziale del lavoro nulla è cambiato in tal senso, ma concrete soluzioni alle problematiche e difficoltà che quotidianamente madri (ma vale anche per i padri, ovviamente) sono chiamate ad affrontare nell’interesse dei propri figli e quindi dell’Italia tutta. Secondo lei è possibile “nutrire” insieme ai propri figli, anche la speranza che questo sogno diventi realtà? Un grazie col cuore in mano.

Daniela Cefola Milano

Il mio modo di celebrare questo 8 marzo 2019, cara signora Daniela, è ascoltarla e darle voce. Troppo nella vita della madri (o aspiranti tali) e delle lavoratrici è ancora come lei lo descrive. Non tutto è così, ma troppo – insisto – ancora lo è. E anche quando le cose vanno decisamente meglio, e sui luoghi di lavoro un coniugato rispetto per la professionalità e la maternità non si riduce alla lettera morta di proclami 'politicamente corretti', la fatica di conciliare lavoro e famiglia è grande e senza pause. Lo so da padre, da amico e – da un anno ormai – anche da nonno. Ma so anche che ne vale la pena e che questa intelligente e generosa fatica delle donne che lavorano anche fuori casa (e che sanno farlo benissimo) merita ogni sostegno, dagli uomini che hanno a fianco, dalla società e dallo Stato. Per questo, su queste pagine, da cittadini e da cristiani, ci battiamo con tenacia e valori tutti interi contro ogni discriminazione e per la valorizzazione della maternità e della famiglia e non ci lasciamo fuorviare da quelli che rimpiangono i 'bei tempi andati' (che belli, in realtà, non sempre sono stati...) né scoraggiare dalla lentissima, intermittente, balbettante e contraddittoria serie di risposte arrivate sinora da un mondo politico distratto o capace di fare (in campagna elettorale) promesse poi mai mantenute. Auguro ogni bene a lei, a suo marito e alla vostra bimba arrivata a riempirvi di gioia la vita nel tempo della maturità. E spero, cara amica, che le sia data presto l’occasione di tornare a farsi valere anche nel mondo del lavoro. Lo merita, e ancora di più per la ferita che ha subìto e per la dignità, la misura e la forza con cui ha scelto di parlane con me e con gli altri amici lettori. Grazie davvero.

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