mercoledì 28 gennaio 2009
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Caro Direttore,noi italiani, si sa, siamo cronicamente insoddisfatti dei politici che ci rappresentano. Eppure milioni di noi hanno espresso la loro preferenza in occasione di elezioni politiche o amministrative. Certamente anche l’eletto entra in Parlamento con le intenzioni di far bene per la sua gente, per chi gli ha espresso simpatia e ha condiviso un programma elettorale. Ma chissà per quale mistero le ruote non girano mai come dovrebbero, e paiono intralciate da questo e quello. Personalmente credo nella buona volontà politica e nei buoni propositi, ma dappertutto vediamo e sentiamo insoddisfazione, sfiducia. Se cercassimo di analizzare il problema «sfiducia e rassegnazione», dove arriveremmo? Non posso pensare al «se sto bene io, che me ne importa degli altri». Purtroppo l’ondata della grande crisi potrebbe fornire un alibi, un motivo al «non dipende da noi» e così via... Nel 2001 il crollo delle Torri Gemelle fornì degli alibi, adesso la grande crisi ne fornisce altri. Il disagio, il timore, in alcuni casi la paura, stanno condizionando la vita di noi tutti. Ce la faremo? Chissà! Speriamo di sì. Molti vivono solo di speculazioni, ma i risparmiatori coinvolti in questo ingranaggio selvaggio, spregiudicato, si sentono come oppressi. La globalizzazione sta distruggendo le forze migliori, annientando le energie e le risorse più sane. I grandi controlli stritolano le nostre esistenze. Quando si vuole il denaro per il denaro, il risultato non può essere che questo: il dio denaro, purtroppo, allontana dalla via maestra.

Giuseppina Vinci, Lentini (Sr)

I periodi di crisi strutturale sono sempre caratterizzati negli umori della massa  da sentimenti di pessimismo, di insicurezza, di delusione, di sfiducia nella politica se non, addirittura, da veri e propri rigurgiti di antipolitica che s’accompagnano a un certo clima di egoismo sociale, di incrinamento del patto fra cittadino e Stato in nome dell’interesse particolare. I caratteri di tale scenario su cui abbiamo già avuto modo d’intrattenerci in queste pagine, sollecitati dai fatti di cronaca e da tanti preoccupati messaggi di lettori sono tutti chiaramente leggibili nel presente. Tuttavia, cara signora Vinci, mi pare che lei generalizzi un po’, stigmatizzando – in un’unica fascina – fenomeni sì contemporanei, ma diversi fra loro, con derivazioni e incidenze differenti: il terrorismo mondiale, la speculazione finanziaria, la globalizzazione produttiva, la violazione della privacy, l’idolatrìa del «dio denaro». Mi sembra, in sostanza, che il suo sia un anatema vago e ingeneroso. Vede, signora, è importante distinguere i problemi e non subire anche noi il gioco perverso della post-modernità, che è intrinsecamente relativista, mette cioè sullo stesso piano indifferenziato problemi e situazioni diverse. Distinguere invece è condizione per ben giudicare e ben agire. Certamente i fattori elencati contribuiscono compresenti e collimanti a ingenerare timore, paura, disimpegno. Ma non bisogna dimenticare che la globalizzazione economica (dei mercati e delle manifatture) delle barriere le ha abbattute, anche se poi ne ha fatte nascere altre. Ma pensiamo all’aggancio alla locomotiva mondiale di India e Cina. Ciò che dobbiamo «condannare» non è perciò il modello, il meccanismo della modernità, bensì le sue storture, le sue patologie derivate dalla mancanza di etica, dall’avidità, dalla speculazione fine a sé stessa e fuori controllo. Oggi ci è richiesto un grande sforzo di ridisegno culturale, un riassetto della nostra scala valori e degli stili di vita. Mai, come in questo tempo cruciale, il pensiero della Chiesa ci richiama alla necessità di metterci personalmente in gioco per il bene comune. Nella prolusione pronunciata l’altro giorno dal cardinale Angelo Bagnasco, al Consiglio Permanente della Cei, si legge: «... Da più parti, in questi giorni, s’è detto che la crisi potrebbe diventare un’opportunità. Non vi è dubbio che, per certi versi, senza la crisi probabilmente non si sarebbe trovata la forza ad esempio per riconoscere che non si può vivere sopra le righe e bisogna fare un passo indietro, per quanto arduo, ricuperando la capacità e il gusto del risparmio, della misura, del non spreco, dei consumi sostenibili... Anche in questo senso la crisi può disvelare le sue virtualità educative: sia nei riguardi delle persone già adulte, che però devono saper modificare il proprio modo di pensare e i propri comportamenti, sia verso i più giovani, ai quali apparirà più chiaro che non basta aver di mira l’acquisizione di abilità tecniche: occorre educare le emozioni, impegnarsi sulle virtù personali e sociali, dar valore "anche" all’anima».
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