La Chiesa e i crimini omotransfobici: argomenti chiari, come il rispetto
giovedì 11 novembre 2021

Gentile direttore,

siamo operatori pastorali, preti, religiose e laici, che camminano accanto a persone omosessuali, transessuali e molti loro genitori. Sono credenti che testimoniano la fede anche in ambienti laici del mondo lgbt+. In loro vediamo una fede genuina, coraggiosa, impegnata. Forte è il desiderio di comunione ecclesiale, nonostante esclusioni e giudizi sprezzanti. Con dispiacere vediamo altri allontanarsi, profondamente feriti da dichiarazioni e parole troppo gelide della nostra Chiesa. Per dire il Vangelo non può esserci il bisogno di parole che feriscono la dignità. Anche nel Magistero sono molti i richiami al rispetto e la condanna contro ogni violenza verso le persone per il loro orientamento. Dalla Homosexualitatis Problema (interessante il n° 10), al Catechismo fino alla Amoris laetitia. Conosciamo i dubbi della Conferenza episcopale italiana sul ddl Zan, che poteva essere un dispositivo a protezione di molti concittadini, compresi quelli dalle diverse abilità. Ma ci stanno a cuore le persone, con le quali cerchiamo strade di fedeltà al Vangelo, e il Paese tutto. Come cittadini questa vicenda ci addolora e ci indigna. Abbiamo perso tutti! E il Paese resta incapace di sanzionare violenze e discriminazioni senza pregiudizi. Altre ferite resteranno impunite sulla pelle delle persone per una “conta” politica irresponsabile e lontana dal Paese. Come comunità cristiana non ci accada di scivolare nell’abbraccio mortale di qualche forza partitica. Invece, anche nella comunità cristiana parole di approvazione per l’esito della vicenda hanno di nuovo ferito la dignità di tanti, di tutti, perché un Paese più civile è per tutti. Caro direttore, che nel suo giornale la Chiesa tutta possa rispecchiarsi nelle sue diverse sensibilità, anche con le storie di credenti lgbt+ e delle loro famiglie. Tante paure, tanti giudizi, tante false informazioni svaniranno: un contributo alla verità, alla Chiesa e al Paese.

don Fabio Bellentani, Modena; padre Giovanni Belloni, Pime; don Nandino Capovilla, Venezia; don Fabio Coppola, Lamezia Terme; don Fausto Focosi, Ancona; Gianni Geraci, Rho; padre Giorgio Ghezzi, Modugno-Bari; suor Fabrizia Giacobbe, Firenze; fra Paolo Giava rini ofm cap, Bergamo; Mara Grassi e Agostino Usai, Reggio Emilia; don Giovanni Martini, Firenze; don M aurizio Mattarelli, Bologna; don Giorgio Riccoboni, Tr eviso; don Alessandro Sesana, Bergamo; suor Celina Vitali, Bologna; don Antonino Zito, Palermo



“Avvenire” è giornale-specchio di tanta parte della società civile e delle comunità ecclesiali italiane. Dico “tanta parte” e non “tutta” perché cerco di tener caro un sano senso del limite (nostro, e mio personale) e ho la consapevolezza del cronista abituato sia alla semplicità dei valori e dei doveri di riferimento sia alla complessità delle situazioni, e addestrato da ormai lunga esperienza anche alla selezione delle notizie e delle argomentazioni. Detto questo, gentili e cari amici, trovo appassionata e bella la vostra richiesta di attenzione e di rispetto per le persone omosessuali e transessuali e per le loro famiglie, specialmente (ma non solo) per quelle che camminano con voi nella fede e vivono la Chiesa. E noto che i richiami magisteriali che operate sono puntuali e – non a caso – niente affatto nuovi ai lettori di questo quotidiano e dei suoi inserti che ne conoscono la limpida ed esigente portata. Da partecipi alla vita della Chiesa quali siete, dovreste anche sapere che i dubbi espressi dalla Cei – e in piena sintonia, ma a un diverso livello, dalla Santa Sede – sul testo del cosiddetto ddl Zan così com’era stato approvato alla Camera sono dubbi pertinenti e precisi, riguardanti punti ambigui o rischiosi del testo, condivisi anche da tanti altri, cattolici e no. Credo anche che dovrebbe esser chiaro almeno – diciamo così – all’opinione pubblica ecclesiale, che mai il Vangelo è stato usato dalla Cei e dai vescovi italiani nel dibattito sul ddl Zan (come già in quello sulle «unioni civili») per «ferire dignità» e anche solo sensibilità. Una prova ulteriore è venuta proprio ieri dalla nota della Diocesi di Treviso che spiega perché non verrà affatto celebrata la Messa di ringraziamento «per il blocco del ddl Zan» polemicamente e avventatamente annunciata in una sua parrocchia. Sono poi certo che molti di voi, da lettori attenti, sanno che sulle nostre pagine si è sviluppato un confronto ampio e al quale hanno contribuito praticamente tutti.

Il ddl Zan, infatti, non è il Vangelo. Non era adeguato e non era per nulla immodificabile, anche se come tale è stato trattato dai suoi proponenti e sostenitori dopo il voto a Montecitorio, imbalsamato da calcoli politici, da una propaganda asfissiante e da una pubblicistica spesso codina. Non è stato approvato perché non si è voluto renderlo migliore, disinnescando le approvazioni e le opposizioni 'a prescindere' e divisione amare e persino caricaturali tra «omofobi» e «genderofili» (uso queste parole con fastidio, e visto che alcuni che ci leggono a intermittenza o maliziosamente non lo hanno saputo o voluto cogliere, chiarisco che lo faccio per contestare questo mostruoso “bipartitismo morale” e non certo per accreditarlo).

A causa di questo fallimento, mi dite, c’è una ferita aperta. Lo vedo, e io stesso l’ho sottolineato. C’è una ferita, anzi più d’una. Sono ferite diversamente dolorose e preoccupanti, e toccano le persone omosessuali e transessuali, ma anche altre persone. Per questo ho scritto, che il giorno dell’archiviazione del ddl Zan “per non-dialogo” non è stato affatto un bel giorno per la società italiana sebbene fosse e rimanga evidente che alla nostra comunità civile una legge malfatta non sarebbe stata per niente utile. Credo anche che ora servirebbero saggezza e tempestività per articolare una norma asciuttissima e semplice, centrata – come illustri giuristi e alcune personalità hanno spiegato e rispiegato – solo sull’obiettivo di proclamare con chiarezza che sono inaccettabili, al pari di altri, anche gli specifici e concreti crimini d’odio contro la diversità di orientamento sessuale delle persone. Per la Chiesa tutto questo chiaro già lo è. Basterebbe aver per davvero letto – e voi, infatti, lo citate con cognizione di causa – il Catechismo del 1992.

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