L'urlo della marmotta e quello di ogni vittima
venerdì 18 ottobre 2019

Par di sentire «l’urlo della marmotta», è l’urlo del terrore assoluto, quando dal terrorizzato esce una voce sconosciuta a lui stesso, e lo spavento precipita nel delirio. La marmotta s’è appena svegliata dal letargo, è uscita dalla tana, e d’improvviso scorge alla sua destra, vicinissima, una volpe che la fissa con sguardo furbo e cattivo e denti aguzzi. Occhi e denti dicono: «Adesso ti mangio». La vittima scatta in piedi e urla. Stavo per dire urla un urlo disumano, ma questi non sono umani, sono animali, perciò dovrei dire che questo è un urlo dis-animale, un urlo disnaturale.

Anche l’uomo emette urli come questo. È l’urlo della vittima nel momento in cui è vittimizzata, e vede davanti a sé – come oggi le popolazioni curde nel nord della Siria – il suo killer strapotente, che ha ogni arma di offesa, e si sente incapace di ogni difesa, perché non ha né unghie né denti. L’urlo di Munch scoppia da un terrore metafisico, l’uomo si sente un niente schiacciato dal Tutto che lo opprime da tutte le direzioni, urlando scappa in qua, verso di noi, ci chiede aiuto come se noi potessimo salvarlo. Essere soli nel Tutto è spaventoso. Essere soli senza unghie né denti di fronte a una volpe che sta per lanciarsi su di te ti paralizza ogni muscolo delle gambe e delle mani, qui le zampe anteriori sembrano proprio mani, ma non la gola che urla, e urlando si gonfia così tanto che le guance sembrano scoppiare per la troppa tensione.

Conosco quell’urlo. Quando finiva la Seconda guerra mondiale avevo dieci anni, e ho una buona memoria. «La memoria è la più preziosa delle ricchezze» dicevano i filosofi greci. Ma è anche una tortura. Sul finire della guerra mondiale s’infittivano gli attentati contro i ponti per impedire al nemico la ritirata, e a ogni ponte saltato in aria il nemico rispondeva con rastrellamenti e impiccagioni. Soldati specializzati nella caccia e nella cattura, come la volpe che fissa la marmotta da trenta centimetri di distanza, entravano nelle case col simbolo di un teschio luccicante sopra la visiera, e quel teschio comunicava ai prigionieri: "Voi siete morti, io vi ho ucciso". È il messaggio della volpe: "Ti mangio". Nessuna possibilità di comunicazione tra l’assassino e il prigioniero, noi contadini eravamo convinti che la lingua militare tedesca non era una lingua umana, ma un abbajo. Non capivamo niente, e il non-capire non era ammesso. Neanche nei lager, dice Primo Levi. Gli ordini erano urlati "come per dar sfogo a un’antica rabbia", non venivano capiti ma questo era considerato una ribellione, e punito con la morte.

La marmotta capisce che sta per essere uccisa, non capisce altro, s’è appena svegliata dal letargo, non sa da dove sia sbucata la volpe e perché, non capisce perché lei debba morire ma capisce che sta per morire, il suo esistere era un esistere per la fine, ed ecco, la fine è venuta. Il fotografo cinese che ha scattato questa foto ha vinto un premio mondiale che si chiama "Natura selvaggia", ma è una foto che dice molto anche sulla natura umana, le guerre, gli ostaggi, le condanne, le esecuzioni. Nel pericolo anche noi siamo marmotte, e urliamo.

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