martedì 11 marzo 2025
Non ho certezze, ma nel dubbio scelgo di non avere rimpianti: non ho paura di stare sulla soglia di questa piazza “per l’Europa”.
Una recente manifestazione per la pace a Roma

Una recente manifestazione per la pace a Roma - Ansa

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Finita l’ultima delle 1.500 pagine di Guerra e pace di Lev Tolstoj, mi sono detto: ma come è possibile che ancora siamo in guerra con la Russia? Non abbiamo imparato niente! E poi la seconda considerazione: ma questa è letteratura europea! Stiamo perdendo la consapevolezza di comuni radici... Sono rimasto nei miei pensieri sospesi, richiamando altri autori più spostati a ovest, ma sempre con un inconfondibile sapore europeo. Poi sono stato risvegliato da una domanda, quotidianamente riecheggiante negli ultimi giorni: ci vai in piazza per l’Europa?

In piazza per l’Europa o per questa Europa? Perché a seconda della risposta, si potrebbe scendere in due piazze diverse: una per sostenerla, una per contestarla.

Scendere per questa Europa? Questa Europa paralizzata da decenni dalle decisioni all’unanimità, che in ventiquattr’ore trova 800 miliardi per armarsi o per “difendersi” (da chi?)? Per questa Europa potrei desiderare una piazza per contestarla.

Questa Europa che non decide politiche comuni sull’immigrazione assistendo inerte alle tragedie nel Mediterraneo, rialza reticolati e muri, che si rifugia nella burocrazia e legifera sulle vongole mentre tace sulle grandi ingiustizie.

Questa Europa i cui Stati sembrano non andare d’accordo su niente e carezzano gli umori impauriti degli elettorati anziché indicare una rotta lungimirante anche se impopolare.

Questa Europa che dice «con l’Ucraina la guerra è tornata in Europa», rimuovendo la tragedia dei Balcani, guerra già nel cuore dell’Europa e di cui è corresponsabile.

Questa Europa che delude chi credeva nella solidarietà, nella giustizia, nella coesione, questa Europa, non è da applaudire ma, forse, da contestare.

Oppure scendere in piazza semplicemente per l’Europa? Per quel nome sorgivo che ha portato un’infinità di bene per milioni di persone e un modello ispirativo per il mondo. Per la sua genesi prima che per le occasioni mancate. Non un’entità geografica o un apparato burocratico, ma “un ideale storico concreto”. Se ascolto l’Europa embrionale, sussurrata nel Monastero di Camaldoli, quando un gruppo di giovani scrisse il Codice di Camaldoli, ispirandosi a un’utopia nel mezzo della Seconda guerra mondiale, il mio sentimento cambia. Se penso all’Europa sulle labbra di Jan Palach, torcia umana in Piazza San Venceslao, a Praga, per non arrendersi all’oppressione sovietica. Se leggo Europa negli scritti di Sophie Scholl, che con il suo gruppo La Rosa Bianca sfidò il nazismo e pagò con la vita il sogno di un continente libero.

Europa... Europa come la sognarono, la idearono e la realizzarono i padri fondatori. Riecheggia forte e lungimirante il loro pensiero appassionato: Altiero Spinelli, Alcide De Gasperi, Jean Monnet, Robert Schuman, Konrad Adenauer, Joseph Bech e Paul-Henri Spaak. Ma quel sentimento positivo si accende solo nel passato? Europa... se abbandono i confini politici e alzo lo sguardo sento il “respiro a due polmoni” evocato da san Giovanni Paolo II, che ci ha spinto a unire spiritualmente e culturalmente Oriente e Occidente.

E poi l’eco intima della memoria: quando, da bambini, a scuola tutti scrivevamo il “tema” sull’Europa. I nostri genitori, i maestri e i professori, usciti dalla tragedia della guerra, concordavano nell’alfabetizzarci a un futuro nuovo di pace. «Ci fosse qui lo zio, tuo padre, la nonna... come sarebbero felici! Il loro sangue non è stato versato invano». Quante volte, in migliaia di case italiane, si sono pronunciate parole simili? E poi le sbarre dei confini e delle dogane che si alzavano per sempre, le merci scambiate, la ricerca scientifica e l’uso dello spazio realizzati insieme, i giovani che iniziavano a circolare in autostop, in moto, in treno, una moneta unica nei nostri portafogli... sogni realizzati.

Ma il passato non torna. Resta nei romanzi e nei film. Dove possiamo innestare oggi questa memoria? L’intelligenza, l’etica e la politica suggeriscono che ogni critica, ogni contestazione, dovrebbe tendere a una proposta di miglioramento, anche quando non si ha nell’immediato una risposta pronta.

Oggi siamo su un crinale assai pericoloso, un punto di svolta che potrebbe portare al disfacimento dei fondamentali della convivenza civile. E se archiviassimo questa memoria e scendessimo in piazza solo per contestare? O, peggio, se restassimo indifferenti? Se tagliassimo l’ultimo filo che ancora lega il passato a un possibile futuro di pace? Lo abbiamo detto: siamo attoniti, davanti agli scenari che di ora in ora sono sempre più cruenti, abbiamo bisogno di un tempo di latenza. Ma l’accelerazione storica non consente ulteriori indugi.

Forse, conservando tutti i dubbi senza i quali nessun miglioramento è possibile, potremmo ritrovarci in una piazza che si aggrega intorno a un’unica bandiera. Una piazza che non urla, ma che, ostinatamente ancorata alla memoria, continua a credere in un sogno di pace.

Perché non è più il tempo di dire “pace! pace!”. Occorre indicare una strada positiva, concreta, praticabile. Una linea e un orizzonte, un’azione. Europa è parola di pace che appartiene al passato – settant’anni senza guerre – che vive nelle difficoltà del presente e che ci attende nel futuro.

Riavvolgo il nastro e vedo un’Europa bambina, accompagnata e protetta dagli alleati americani attraverso la sua adolescenza fino alla soglia della maturità. Adolescente entusiasta quando si sbriciolava il Muro di Berlino, ha raggiunto in ritardo l’età adulta, quella della piena autonomia e responsabilità. Oggi la storia, irreversibilmente e brutalmente, chiede conto: questo sogno, questo progetto, questa adolescente vuole finalmente ultimarlo e diventare adulta?

Quella piazza “per l’Europa” è una soglia rischiosa, ma carica di futuro. Una soglia in cui non ci sono solo cittadini, ma l’Europa stessa. Una soglia dove può sventolare ancora una bandiera sola: l’Europa. Logora, sgualcita, un po’ strappata, ma l’unica bandiera senza sangue. Un simbolo sospeso tra storia e sogno ostinato.

Non ho certezze, ma nel dubbio scelgo di non avere rimpianti: non ho paura di stare sulla soglia di questa piazza “per l’Europa”.

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