L'ambiente siamo noi: il Papa e le scelte di Stati e cittadini
mercoledì 16 novembre 2016

«Consapevolezza» e «corresponsabilità». Sono le due parole-chiave del messaggio che papa Francesco ha inviato ieri ai rappresentanti dei governi firmatari dell’intesa di Parigi sul clima, radunati a Marrakech per il vertice Onu Cop22. L’importante summit ha luogo a pochi giorni di distanza dalle elezioni americane che hanno decretato la vittoria di Donald Trump, il quale in campagna elettorale aveva promesso ai suoi sostenitori che, in caso di vittoria, avrebbe stracciato gli accordi sul clima siglati a Parigi. Ora, è ben vero che tra il linguaggio della ruvida propaganda e il cammino politico concreto c’è una distanza notevole, ma è difficile pensare che nello spazio di così poco tempo sia mutata la sua convinzione, secondo cui l’intesa di Parigi costerebbe troppo agli Usa in termini economici.

In un contesto del genere, il richiamo del Papa – che peraltro ragiona in termini universali e non certo ad personam – risuona con un accento particolare. «Consapevolezza» e «corresponsabilità» sono necessarie – fa capire – per far decollare un’intesa faticosamente raggiunta, coinvolgendo nella riduzione delle emissioni di gas serra i Paesi più inquinatori del mondo, fra cui la Cina. Entrato in vigore all’inizio del mese, ora l’accordo sul clima chiede ai firmatari scelte politiche impegnative ma anche, a noi cittadini, nuovi stili di vita più attenti all’ambiente.

Francesco saluta positivamente l’adozione dell’accordo perché «rappresenta una forte presa di coscienza che, di fronte a tematiche così complesse, l’azione individuale e/o nazionale non è sufficiente, ma è necessario attuare una risposta collettiva responsabile». Non basta, in altre parole, avere chiara la percezione della posta in gioco, nel momento in cui ormai la maggior parte dei membri della comunità scientifica è convinta della gravità dell’impatto umano sui cambiamenti climatici. Occorre essere vigili circa le ricadute delle proprie scelte. Come si legge nell’enciclica Laudato si’: «Molti diranno che non sono consapevoli di compiere azioni immorali, perché la distrazione costante ci toglie il coraggio di accorgerci della realtà di un mondo limitato e finito».

Si può, inoltre, decidere di rimanere inerti di fronte a statistiche allarmanti, si può scegliere di agire, sì, ma al rallentatore, scaricando gli effetti delle proprie decisioni sulle generazioni future (vale per i singoli, per le comunità grandi e piccole, per le aziende...). Ancora: si può avvertire il pericolo imminente, ma non essere disposti a cambiare il proprio modo di vivere, abdicando al proprio ruolo di consumatori attivi e critici, delegando ai politici (e solo a loro) la soluzione di un problema che, al contrario, chiama in causa tutti, seppure a livelli diversi.

Ma tutto ciò, afferma con chiarezza papa Francesco, equivarrebbe a un comportamento disumano, che non considera l’umanità una famiglia, dove ogni membro è attento al bene e al futuro dell’altro. Quando nel contesto globale gli interessi di pochi, in ultima analisi dei più forti, prevalgono sul bene comune, si pongono le premesse per un degrado della convivenza che non può non avere riflessi anche in chiave ambientale. Come dice ancora la Laudato si’: «L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme». Ecco perché ai politici radunati a Marrakech il Papa ricorda che l’accordo di Parigi chiede di definire con coraggio un nuovo paradigma di progresso, capace di mettere a servizio di tutti le nuove conquiste tecnologiche per una «qualità ambientale solidale». Inoltre, l’intesa sul clima «ci richiama alla grave responsabilità etica e morale di agire senza indugio, superando gli interessi e i comportamenti particolaristici».

Se non ci si muoverà, in fretta, in tale direzione a farne le spese saranno le generazioni future (i nostri figli e nipoti), alle quali consegneremo un pianeta avvelenato e impoverito. Insieme con loro, ne soffriranno i più poveri del mondo, sui quali, inesorabilmente, si abbattono – già ora – le conseguenze delle scelte egoistiche dei più forti.

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