giovedì 4 dicembre 2008
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In India non si muore atrocemente soltanto a Mumbai, per mano di terroristi, può capitare, come soprattutto negli ultimi mesi capita, anche nello Stato dell’Orissa, dove è in atto una vera persecuzione nei confronti dei cristiani. Le più recenti e più agghiaccianti notizie provengono dal distretto di Kandhamal, e riguardano due cristiane, la prima letteralmente fatta a pezzi e gettata nella foresta, la seconda scomparsa. Entrambe le donne erano tornate ai loro villaggi – dai quali erano riparate prima nella giungla e poi in campi profughi assieme ai loro cari per sfuggire agli attacchi – con l’intento di mietere il riso necessario al sostentamento delle famiglie Ricordiamo la loro tragica fine e i loro nomi, che accrescono il martirologio dell’India di oggi, ossia l’India della globalizzazione economica e della modernità, almeno in apparenza, più avanzata. Bimala Nayak è stata fatta a pezzi con un’ascia, poco lontano dal villaggio dove era tornata per un misero raccolto del suo piccolo pezzo di terra. L’altra, Lalita Digal, è stata strappata dalle mani degli amici indù che l’ospitavano: è scomparsa, il suo corpo non è stato ancora trovato. Sono questi gli ultimi dati di una cronaca agghiacciante sebbeni non trovi spazio sui media locali, carica anzi di un suo tremendo ammaestramento: ci ricorda, in sostanza, come per la fede si può ancora morire, si può cadere anche oggi sotto i colpi di fanatici (induisti, in questo caso) che usano come alibi per il crimine la propria militanza religiosa. Più di tre mesi fa, ed esattamente il 23 agosto, quando un leader indù fu assassinato da un gruppo maoista, si è scatenato il pogrom ancora senza fine contro i cristiani dell’Orissa. Un pogrom, una persecuzione implacabile che ha già fatto decine e decine di vittime, che ha bruciato chiese, scuole, centri di assistenza, abitazioni comuni, costretto alla fuga cinquantamila cristiani ma che ancora non ha termine, sostanzialmente per l’inerzia del governo regionale e delle forze di polizia locali, incapaci di prevenire i delitti e di assicurare alla giustizia i colpevoli dei misfatti. Protestano i cristiani, nel fondato sospetto che le autorità locali non facciano volutamente abbastanza, ma protestano anche gruppi radicali induisti, che rimproverano alle autorità di non avere ancora scoperto gli assassini del loro leader, e hanno indetto una manifestazione di protesta per il 25 dicembre prossimo, ossia il giorno di Natale. Si teme che per l’occasione si scateni la "caccia ai cristiani", e in particolare l’aggressione alla Chiesa cattolica, da anni impegnata in favore delle poverissime popolazioni tribali e dei "dalit" (i "fuori casta"). Si teme che, sotto gli occhi di autorità poco interessate quando non conniventi, l’Orissa stia scivolando verso lo stile sanguinario già visto all’opera anni fa nel Gujarat, diventato luogo di massacri (allora ai danni principalmente dei musulmani) e laboratorio ideologico del volto intollerante dell’induismo. Crediamo dunque urgente chiedere a tutti i cristiani, assieme all’arcivescovo di Cuttak-Bhubaneswar, Raphael Cheenath, di rivolgersi all’India perché consolidi la sua immagine di Paese liberale e democratico, non soltanto difendendo la libertà religiosa in regioni marginali e turbolente come l’Orissa, ma anche avviando in quelle regioni la ricostruzione piena dello Stato di diritto nonché dei numerosi edifici sacri distrutti o danneggiati dalla furia estremista , per consentire alle comunità di celebrare un Natale finalmente e definitivamente sereno.
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